domenica 29 marzo 2009

.. passioni...

Ciao gente! Questa ora legale, oltre a farmi girare parecchio le palle per una questione di gusti personali legati alla luce nelle ore serali, mi sta distruggendo. Un anno e 5 giorni fa, stando a leggere il mio quaderno degli appunti, scrivevo "Nata Rima", poesia forse non riuscitissima (che potete trovare in queste pagine), ma senza dubbio per me molto importante, perchè "inizio" di un nuovo periodo... che nella sua nullità ancora non è finito. Da qui un paio di riflessioni sulle passioni, secondo la filosofia di Spinoza.
Al pieno esercizio della ragione si oppongono le passioni; bisogna perciò conoscerle analizzando in modo scientifico la vita emotiva.


Le passioni sono fenomeni come tutti gli altri, determinate dalle leggi eterne e immutabili della natura, e come tali vanno studiate, non diversamente dalle figure geometriche. per capire cosa sono le passioni dobbiamo riferirci alla dinamica che si istituisce nel rapporto tra corpo e anima. Quando un corpo entra in contatto con altri corpi si determina una modificazione, o affezione, la quale è accompagnata dalla consapevolezza, cioè dall'idea o affetto, della modificazione stessa. Nel rapporto con le altre cose l'uomo è perciò coinvolto attraverso sia l'anima che il corpo.


Ora tutto ciò che esiste è animato da una spinta interna volta a conservare o a perfezionare il proprio essere. Sul piano emotivo questa spinta si manifesta come desiderio, che può essere favorito o ostacolato a seconda delle circostanze. Quando il desiderio è favorito, nell'essere desiderante si manifesta un affetto positivo che è la gioia; quando il desiderio è ostacolato, la mente prova tristezza, cioè un affetto negativo che la deprime e la impoverisce; questo tipo di affetto è ciò che Spinoza indica propriamente come "passione".

Desiderio, gioia e tristezza sono per Spinoza gli elementi costitutivi dell'emotività; da essi hanno origine tutti gli altri affetti e passioni, innanzitutto l'amore e l'odio, che conseguono direttamente dalla gioia e dalla tristezza, in quanto non sono altro che le stesse gioia e tristezza accompagnate dall'idea dell'oggetto che le ha prodotte. Allo stesso modo si deducono poi tutti gli altri stati emotivi.

Ora, gli affetti possono essere sia attivi che passivi, a seconda che siano accompagnati da idee chiare e distinte (l'affetto è quindi azione) o da idee confuse (l'affetto è dunque passione). Si prova passione quando l'individuo è condizionato da cause esterne che non dipendono da lui e dalle quali subisce una pressione, senza saperne spiegare le cause. Per esempio, chi si affida all'immaginazione (il primo confuso grado della conoscenza) colloca disordinatamente gli eventi nel tempo e, influenzato dalla precarietà dell'esistenza, si lascia prendere da due passioni uguali e contrarie, il timore e la speranza, che hanno in comune l'atteggiamento instabile verso un futuro presunto: la speranza è gioia incostante, il timore tristezza incostante davanti all'avvenire che si preannuncia ambiguo; l'individuo è allora prigioniero. Quando invece la mente sa spiegare pienamente ciò che accade, dentro e fuori di se, si trova in una posizione attiva, in uno stato di pienezza accompagnata dalla gioia.

La conoscenza adeguata è dunque la via che porta a limitare l'incidenza negativa delle passioni, le quali sono il segno della finitezza umana. Essendo parte della natura, l'uomo non può sottrarsi agli effetti prodotti su di lui dalle cose esterne, non può essere sempre attivo; in questo "patire" (essere oggetto di pressioni esterne) consiste la sua finitezza.

Ma, grazie alla conoscenza, egli può diventare consapevole dello stato in cui vive; allora comprende che le passioni appartengono inevitabilmente alla natura umana e le accetta come tali, senza lasciarsi deprimere dalla tristezza di fronte a eventi sui quali non ha nessun potere di controllo.

sabato 7 marzo 2009

Alziamo il capo! - da "Pensare la legge" di Andrea Zampetti.


Con questo post, forse apriremo una piccola collana. Sarà tutto da vedere, e dipenderà da quanto interesserà i miei due-quattro occasionali lettori. Ciò che scrivo è la fedele trascrizione di alcuni passi del breve saggio "Pensare la legge", libercolo che ho apprezzato moltissimo e ri-letto più volte. L'autore è tale Andrea Zampetti, che per quanto mi riguarda, prima di ogni altra cosa è un Capo scout meraviglioso, seriamente convinto del valore dei princìpi della Legge scout; legge che, tengo a dirlo, non è dissimile nè dalle leggi del Signore, nè dalle norme comportamentali che dovrebbero avere tutti i buoni cittadini.


Comincio, visti alcuni recenti avvenimenti, e quindi la triste attualità di queste righe, da un articolo difficile...


LO SCOUT SORRIDE E CANTA ANCHE NELLE DIFFICOLTA'


L'accettazione delle difficoltà della vita è una scuola di solidità della propria esistenza e di responsabilità delle proprie azioni.

Non significa essere scemi, deficienti o irresponsabili, ma avere cognizione della REALE portata delle cose che accadono.

E' una scuola di vita, perchè non sono cose che si possono capire da ragazzi, quando la propria immortalità sembra essere un fatto assodato e incontrovertibile, come la propria invulnerabilità.

Invece gli scout e le guide, imparando a prendere bene le avversità quali il maltempo, la perdita del materiale, la rottura di un mezzo di trasporto, la ferita di un compagno, un proprio incidente, il perdere una gara, etc., immettono nel proprio cervello gli anticorpi che poi, quando servono, verranno fuori e consentiranno di reagire evitando la depressione, alle avversità gravi che possono capitare a tutti.

parlo della malattia di un genitore, della sua morte, della perdita di un affetto importante (ad esempio un divorzio, la perdita di un figlio), un grave rovescio economico, la perdita del posto di lavoro, un processo, un arresto, e via discorrendo nell'elenco di fatti che, però, non deve essere visto come un elenco di sciagure per fare gli scongiuri,, ma di eventi assolutamente passibili ed ordinari, contro i quali non si può cozzare inutilmente il cranio, ma che devono essere "razionalizzati" ed inseriti in un ambito più vasto rispetto alla perdita di una posizione che si credeva acquisita in eterno.


In altre parole la frase "sorride e canta anche nelle difficoltà" non significa "fugge dalle difficoltà e dalle proprie responsabilità", ma "capisce la difficoltà, la accetta e la affronta sempre con spirito positivo".

Esempio: un genitore si ammala e muore.

Può essere vista, questa cosa, in due modi: la disperazione per la perdita o, fermo restando il dolore immenso che la perdita crea, un evento naturale della vita, interpretato cristianamente come passaggio alla vita eterna della persona cara.


Questo è l'esempio più semplice, perchè la morte e la vita sono intimamente connesse e capita più o meno a tutti; ma parliamo della perdita del posto di lavoro, o del non trovare affatto lavoro, o ancora del non riuscire a completare gli studi.

Anche qui, la cosa può generare depressione, cioè trovarsi in un vicolo cieco e chiudere gli occhi per non guardare in faccia la realtà e ficarsi sempre di più nell'angolo, fino a fare di quell'angolo la casa della propria mente.

Mi soffermerò un po' su questi temi, con delle storie (vere e inventate) per una personificazione delle questioni, finalizzata a rendere comprensibile un aspetto che rischia di rimanere nel "romantico" delle avventure scout, ma che invece affonda i suoi artigli profondamente nella carne dell'esperienza reale (formata alla famosa "università della vita" di cui parla BP).


Storia


Una persona (scout) è l'immagine dell'attività, dell'esplosione della vita. Fa mille cose, mille sport, mille giri, etc. In uno di questi giri subisce un incidente e rimane sulla sedia a rotelle, fermo dalla vita in giù.

Queste quattro parole non esprimono la tragedia totale della vita di questa persona.

Operazioni, rieducazioni, calvario senza fine per una povera schiena che non vuole saperne di funzionare. Il tutto in un'altalena di speranza e disillusione, in una doccia scozzese per la mente, che però, in fondo, lo sa benissimo che tanto...


Quanti si sarebbero abbattuti e depressi?


La depressione è un rifugio che sta nel cavo della nostra mente, in un buco posto come una trappola sul nostro cammino intellettuale.

E' un cortocircuito che ci fa fare una scorciatoia verso un luogo di (apparente) pace mentale nel quale esistiamo solo noi, e non rapportandoci al mondo che rifiutiamo, in fondo - pur nella drammatica sofferenza- stiamo sempre meglio di quanto staremmo guardando in faccia la realtà.

O almeno così crediamo ( e è qui il cortocircuito): in realtà, la... realtà è molto meglio di quanto la nostra paura ce la fa apparire. Se solo riusciamo ad alzare gli occhi, e a guardare in faccia le nostre paure, scopriamo che la tentazione della depressione è una tentazione del male, che ci vuole impedire di ascoltare il Cristo quando ci dice di non temere nulla, se noi siamo con Lui e Lui è con noi.


Quanti avrebbero razionalizzato la situazione e sarebbero riusciti a venirne fuori? Quanti sarebbero tornati in moto (anche se a tre ruote!), sarebbero andati in canoa sui torrenti di montagna, si sarebbero felicemente sposati, avrebbero sciato, avrebbero partecipato alla maratona di New York!!???

Beh, io questo lo chiamo sorridere e cantare nelle difficoltà!!