Ci sono situazioni, all'interno di una partita, momenti, fotogrammi di distaccata verità, che sanno rappresentare poeticamente le difficoltà dell'esistenza.
Il goal di Paredes in Roma-Palermo del 23 ottobre 2016 è uno di questi.
È un goal che arriva su punizione, imprevisto, da una posizione non pericolosa. La parabola che si disegna è a spiovere, indecisa se essere un tiro diretto oppure un cross nell'area piccola, e va a precipitare a poco più di un metro e mezzo dal portiere, a meta strada tra l'estremo difensore e gli attaccanti avversari. È un gesto infido, velenoso, dentro al quale tutto può accadere o smarrirsi velocemente. È un goal che ha la geometria esatta delle fatalità occasionali.
La cronaca è nota: il portiere si getterà nel tentativo di fermare il pallone in fase discendente; questo però troverà una picchiata e un rimbalzo così esatti da toccare il suolo e scavalcare il giocatore coi guantoni durante la fase di uscita. La vita sta tutta lì: se il portiere avesse atteso la sfera di gioco fermo tra i pali sarebbe riuscito a bloccarla con facilità. Teoricamente. A condizione cioè che nessuno degli avversari avesse tentato un inserimento, trovando la marcatura con un tap-in fin troppo naturale. Un rischio quest'ultimo troppo alto. Il portiere non aveva altra scelta che buttarsi. Cerca un tuffo di un metro e mezzo sperando di raggiungere il pallone nel preciso momento dell'impatto con il manto erboso. Una geometria e una tempistica dall'esattezza scientifica.
Il portiere tutto questo lo capisce prima che accada, mentre il pittore del quadro sta giusto pennellando la sua delicata sfumatura parabolica. E tutti noi per un istante gli puntiamo il dito contro, quasi fosse un allocco, per la riuscita apparentemente ridicola di questa rete, per il modo assurdo e derisorio con cui il pallone lo anticipa e gli passa sopra le spalle, sopra le braccia irrimediabilmente tese alla ricerca di una perfezione non raggiunta per un pelo. Ma sbagliamo tutti. Perché quel portiere ha capito, immediatamente, cosa stava per capitare. E ha fatto una scelta, una scelta coraggiosa: tra il restare fermo in attesa del pericolo sperando che per una fortunosa catena di coincidenze esso non si verificasse e il correre un rischio, anticipando il pericolo, sfidandolo a viso aperto gettandoglisi incontro. È un equilibrio sottile, quello in cui si svolge la guerra tra i titani e gli dei, dall'esito ogni volta impronosticabile. Tifare per gli uni o per gli altri è solo una questione di gusto, di contingenze, talvolta di provenienze. Ma è dentro queste storie nelle storie, è dentro questi attimi di verità vissute appena, accarezzate, che sta l'epicentro più autentico dei confronti, l'epicità della competizioni e dell'attesa che le precede.
È per storie opache, da indagare e da scoprire come questa, che lo sport, che questo sport, acquista ragioni intense come nella vita. Perché dentro a istanti del genere è contenuta spesso la storia di una vita.
http://youtu.be/eZufuabkHw4
mercoledì 26 ottobre 2016
mercoledì 21 settembre 2016
Ulysses by Alfred Tennyson - Traduzione
Ulysses; Alfred Tennyson
A poco giova un re senza pensieri
presso le braci del suo focolare - tra aridi dirupi
accompagnato da un'anziana sposa. Misuro ed elargisco (nulla più)
inadeguate leggi a genti isteriche
che accumulano beni e sonno e cibo - e che non mi conoscono.
Non posso che rimettermi nel viaggio: voglio bere
la vita con finanche i sedimenti: tutto il tempo goduto
è stato immenso, e immensa ogni sofferta: e sia con chi mi ha amato,
sia da solo; sia sulla riva, sia precipitando
alla deriva di piovose ninfe*
che sanno indispettire il fosco mare. E oggi sono un nome
disperso eternamente in desideri che sanno solo i cuori nella fame.
È tanto ciò che ho visto e conosciuto: città, uomini, usanze
climi, consigli e modi di regnare,
... E in ultimo, me stesso, e ovunque ho dato prova di valore.
Ed ho bevuto gioia a ogni battaglia, insieme ad i miei pari,
lontano sulle piane tintillanti, della ventosa Ilio.
... Sono una parte di ciò che ho incontrato.
Eppure ogni esperienza è appena un arco
nel quale brilla il mondo non viaggiato
i cui confini fanno per sbiadirsi
... O per schiarirsi se ci andrò vicino.
È tetro il riposarsi, l'esser giunti
se poi si arrugginisce, se lo scopo non è splendere ancora, pronto all'uso!
Che, respirare è forse essere vivi? Godessi di più vite, ad ogni modo
poco, ben troppo poco mi parrebbe: e di una sola vita so disporre.
E di una vita a me poco rimane: ma ogni ora
sottratta ancora a quel silenzio eterno
è già qualcosa, può recar sorprese:
Quanto sarebbe vile accumularsi
e conservarsi - vuoto - in cambio di tre giorni
se ancora questo spirito ingrigito
anela le sorprese, e di inseguirle - come stelle cadenti sovrapposte
oltre il limite estremo del pensiero.
Questi è mio figlio, il mio stesso Telemaco
al quale lascio l'Isola e lo scettro
da me davvero amati - ... Saprà bene
adempiere i suoi incarichi - prudente e mite, per popoli rudi:
Saprà addomesticarli al giusto e al buono.
Conosce il suo sentiero, è irreprensibile
nei quotidiani impegni, può riuscire
con guanto di velluto ai suoi uffici,
ad esser degno di me e dei suoi avi
quando non ci sarò. Lui ha la sua strada adesso, e io la mia.
La nave al porto gonfia la sua vela:
Oscuri e malinconici e ampi mari stanno più in là. I miei marinai
come anime forgiate nel mio vento, nei fatti e nei pensieri,
sempre con un cordiale Benvenuto
hanno accettato il tuono e il caldo sole - e vi hanno opposto
le menti e i cuori di uomini liberi. Amici, oggi noi tutti siamo vecchi.
C'è ancora dell'onore tuttavia da soddisfare.
La morte chiuderà anche il nostro cerchio,
ma alla chiusura manca qualche cosa,
Qualcosa che può ancora essere fatto.
La forza scemerà ma si può ancora
per noi fare la guerra anche agli Dei.
La luce un po' più intensa viene sempre
da sopra i monti, ed essi sono antichi.
Il giorno è stato lungo e affievolisce: la lenta luna è alta, questo mare
profondo si lamenta, la sua voce
emerge ovunque. Avanti amici non è ancora tardi
per ricercare un mondo un po' più nuovo.
Voghiamo ben piantati per centrare i solchi rimbombanti delle onde.
Ad oggi il mio proposito consiste nel navigare oltre il tramonto - dove
le stelle occidentali fanno il bagno, fin quando morirò.
Forse gli abissi ci ripuliranno. Può darsi.
Forse faremo terra alle Isole Felici
e allora rivedremmo il grande Achille, come lo conoscemmo.
Sebbene molto è perso, molto rimane. E è vero
Non siamo più oggi quella forza
che una volta muoveva il cielo e la terra;
Noi siamo ciò che siamo,
Quella stessa tempra di cuori eroici
dal tempo indeboliti e dal destino,
ma saldi ancora nella volontà
di lottare e cercare e trovare... E di non cedere.
*letterale: le Iadi. Si potrebbe leggere anche "Stelle", inteso come "Destino". Qui l'interprete ha preferito intendere le Iadi quali entità personificate onde riflettere il ruolo di Disturbatrci che le creature perlopiù magiche, comunque femminili hanno assunto nelle vicende dell'Ulisse epico.
Traduzione resa artisticamente secondo il gusto del titolare del blog.
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sabato 23 gennaio 2016
Dies Attesæ 2015/2016
Dies attesæ 2015/16
Sto guidando. Mi rendo conto che nelle ultime ore al volante ho coperto un numero di chilometri che mai avrei immaginato. Si sta facendo tardi; il sole comincia a calare sensibilmente. Schegge dorate se ne stanno sparse su un mare che non vedevo da circa tredici anni. Quando si propone alla vista per la prima volta il mar ligure è qualcosa di veramente spettacolare: si imbocca una galleria appena dopo essere usciti dalla Firenze-Pisa e, tempo un minuto e mezzo di tunnel, ci si ritrova davanti la costa. Forse è tanto bello proprio perché appare così, d'improvviso, dopo un'immersione nella montagna. Dunque cominciano i ponti: come ho potuto dimenticarli! Questi ponti che sono stati, in una certa misura, dei compagni di gioco per dieci anni.
L'autostrada azzurra, da questo tratto in poi, è addossata alle montagne: alle montagne e alle loro rientranze, ai mille ruscelli. Ogni ruscello, ogni rientranza, è un nome. Tutti. Come ho potuto scordarmi di "Marcaccio", che facevo pesare al mio fratellino come un insulto...! Credo di averlo fatto piangere almeno una volta, grazie a Marcaccio.
È già tardi, però. Molto più tardi di quanto temessi. Arrivo a La Spezia; i paesi della provincia genovese saranno per un'altra volta. Passo per La Spezia e mi inoltro fino alle Cinque Terre: non le ho mai viste; sono l'unico tratto di Liguria che manca totalmente all'inventario dei miei ricordi. Sono diversi mesi che ho una certa curiosità in proposito e oggi finalmente la soddisfo.
Tornare in Liguria, anche se per così poco, è un bagno non richiesto (ma scontato) nei ricordi. Antichi, ma anche recenti. La vita non è solo ciò che si è vissuto, diceva Garcia Marquez, e adesso capisco un po' di più come e quanto sia vero. Capisco il come, incredibilmente. Dentro la città, mentre passo accanto all'arsenale militare, mi assale una strana nostalgia. Tento di mandarla giù muovendomi ancora più a ovest. Il mare sta finendo di ingoiarsi il sole. C'è ancora luce: è verde.
Ricordo un'altra rifrazione molto simile a questa, solo mattutina. Ed estiva. Un caffè, un biscotto, una penna e un foglio di carta. E tante cose da dire: alcune purtroppo da tacere, da lasciare intuire. Le cose essenziali. Parole d'inchiostro comunque si depositarono dentro una busta che forse non è mai stata aperta. Di certo, non è mai stata capita.
D'altronde, noi siamo ciò che non diciamo, avrei finito di capire meno di un mese più tardi.
Siamo ciò che non diciamo. Le nostre attese. La capacità di tacere e di ponderare, di attendere. Di attenderci. Siamo quel "mentre" intensissimo tra ciò che desideriamo e ciò che ci succede.
Le cose non vanno quasi mai come le vorremmo: non sarebbe nemmeno giusto aspettarsi diversamente. Si sta come miracoli intempestivi in cerca di una futuribile completezza. Promesse che sperano un giorno di poter essere mantenute.
Forse è per questo che mi sono messo in viaggio, stamattina.
Per fare ciò che non ho potuto quando avrei voluto.
Certo, solo adesso. In ritardo, ovviamente, per tutto.
O forse, con un poco di fortuna e di fantasia, semplicemente in anticipo rispetto a una seconda occasione.
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