Da che ne ho memoria, la mia famiglia sono i lupi della foresta sacra al dio cervo.
Vivo in un' angusta grotta che domina la valle, la cui unica entrata è un ponte di roccia sospeso nel vuoto, praticamente inaccessibile per chiunque non abbia una muscolatura ferina.
Quando i kodama, gli spiritelli degli alberi, hanno cominciato a diradarsi e i cinghiali a trasformarsi in demoni alimentati dall'odio, per me e per i miei fratelli la vita ha preso a coincidere con la sopravvivenza in un' angosciosa ed estenuante guerriglia. Contro gli umani della Città del ferro, naturalmente; contro quegli spregevoli spara-sassi al veleno, dissacratori di un universo che non possono comprendere.
Per questo li odio; perché, che se ne rendano conto o meno, odiano l'essenza stessa della vita. E in nome di questo infruttuoso scambio di risentimenti mi hanno affibbiato un nome che gli fa paura: Mononoke, "spirito vendicativo".
... ma tutti, tranne me forse, sanno che, nonostante le maschere tribali e le pellicce con cui mi calo in battaglia, in fondo sono umana a mia volta. Lo sa fin troppo bene quello straniero dal cuore puro che desidera non prendere posizione, perché convinto che in realtà siamo tutti "buoni" e che sia l'odio il solo nemico da cui dobbiamo guardarci.
Quando stavo per ucciderlo lui non ha avuto niente di meglio da dire se non che mi trovava bellissima: a me, la figlia di Moro, la regina dei lupi! Non ho potuto fare altro che desistere dal mio proposito, prendermi cura di lui, medicarlo e nutrirlo all'unica maniera che conosco: masticando al posto suo quegli alimenti che non era in grado di ingurgitare e versandoglieli poi in bocca, con una pratica molto simile a ciò che gli uomini chiamano "bacio".
San; Princess Mononoke (1997)
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