Ore 17, meno qualchecosa. La giornata è conclusa, le famiglie dei ragazzi sono già tutte via, sulla strada del ritorno a casa. Con gli amici di una vita siamo tra gli ultimi ad andarcene: prima di salutare questo luogo ci siamo inoltrati nella radura, a cavare dai pali i chiodini a U che vi sono stati appiccati il giorno prima. Le cose degli altri vanno restituite in perfetto ordine.
Apro lo sportello della macchina, e per alcuni istanti ho bisogno di restare così, seduto e immobile in questo spazio chiuso. Unica concessione a questo temporaneo isolamento: il finestrino abbassato. Entra prepotente il silenzio del bosco, e lo posso sentire distintamente, toccare con mano mentre si riempie sul mio palmo spalancato, indeciso sulla leva del cambio.
Com'è che diceva quel poeta americano che amo tanto? Aveva scritto dei versi che suonavano così:
Lá fuori il bosco è bello e buio e fitto.
Mi guardo intorno, ma come proseguisse quella poesia lo ricordo solo in lingua originale.
But i have promises to keep
and miles to go before i sleep,
and miles to go before i sleep.
Non è per questo che sono tornato?, mi chiedo.
Le promesse vanno mantenute e, prima di dormire, le miglia battute. Altre miglia van battute.
Una leggera malinconia mi ha colto durante la messa. E come da peggior luogo comune su Roma e i romani, il mio cervello mi ha riproposto le immagini dell'addio al calcio di Totti. Il capitano è al centro dello stadio, ricorda il momento più bello della sua carriera, il 17 giugno 2001. "Maledetto tempo!" esclama a un tratto, con quella voce che esce strozzata, che non riesce a trattenersi.
Meno male che quest'oggi, per me, dovrebbe essere un nuovo inizio! Non riesco nemmeno a tenere lontana la nostalgia...
... la nostalgia: che è preziosa come il vino. E gratis come la tristezza. Fatta a forma di nuvola, di nuvola di dubbi e di bellezza. Per una volta, però, nemmeno De Andrè e le sue perle riescono a farmi vedere le cose da una diversa prospettiva.
Guardo cosa ho sul petto, vicino al cuore. Mi focalizzo sulla spilletta commemorativa che ho ricevuto in mattinata. Ci sono due date impresse, piccole, su un lato del disegno. Non posso fare a meno di pensare che l'intervallo tra queste due date, due anni tondi, corrisponde esattamente al periodo in cui sono stato lontano. E capisco a cosa era dovuto il pensiero di prima.
Quanto tempo è passato. Maledetto tempo.
Adesso capisco.
Davanti agli occhi passano veloci frammenti di scene vissute, e sono tante che non riesco nemmeno a coglierle tutte. Sono sul tetto (sul tetto!) di un vecchio fuoristrada Land-Rover stipato di cianfrusaglie che corre sulla Tiburtina. Poi su una catasta di legna alta due metri e larga almeno sei. Sono bambino davanti al mio Akela, che mi mette al collo il mio primo fazzolettone: torno da Tagliacozzo e la radio passa il successo di quell'estate, 50 special dei Lunapop. Al buio di una tenda, una sera di un maggio lontano, la radio gracchia che la Roma ha appena vinto la Coppa Italia. Un coccodrillo di cartapesta spalanca le sue fauci su un palcoscenico. Sul mare del nord, in Scozia, fa capolino una rarissima aurora boreale mentre finiamo di montare le tendine igloo. Dalla terrazza di Morino sto lanciando una secchiata d'acqua diretta a un prete che parla come Oliver Hardy di Stanlio e Ollio, del quale dice di essere il nipote. Sulla croda del becco il lago di Braies sembra un francobollo, e siamo tanto a precipizio che per scattare una foto dobbiamo sdraiarci. Sto tornando al Sirente dopo tredici anni dal mio primo campo scout da esploratore, e quando la montagna si staglia all'improvviso nel buio più assoluto delle nove di sera senza luna sento il bisogno di fermare l'auto, di respirare la notte e di strillare "sono tornato a casa!", da solo come un imbecille, o come un esaltato.
"Io ho visto cose che voi umani non potreste immaginarvi" è l'unica frase che riesca a rendere, e a congiungere, ciò che ricordo e che provo, perché di vita si tratta, e ricordando solo determinati fatti, ne sto lasciando fuori tantissima.
"Ho visto cose che non potreste immaginarvi... e tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia."
I volti intorno a me non sono gli stessi che ho lasciato. Ho registrato molti assenti.
Penso a perché sono stato lontano tanto a lungo, e ne conosco le ragioni.
SO anche quale obiettivo mi sono dovuto dare.
Mi trovo nella scena di un altro film, molto più recente ma non meno famoso. C'è un dialogo struggente, di appena quattro battute, che sento mi riguardi parecchio.
- Ci sei riuscito?
- Sì.
- Quanto ti è costato?
- Troppo.
La strada è di nuovo qui, e non so se sia dischiusa come un'amica.
Il prete, appena un'ora fa, ha sottolineato l'importanza nella vita di ognuno di seguire la propria strada.
Facile a dirsi, ho pensato, ma come lo sai quando una strada è la tua? Come fai quando la strada non c'è? Non ho fatto in tempo a chiedermelo, che già stavo sogghignando.
"Quando la strada non c'è, fattela".
Ho ricevuto un'accetta per questo, alcuni anni fa.
Arrivano gli ultimi due ricordi. Ma in realtà sono qualcosa di meno, forse solo due riflessioni.
La prima è che diciamo Riparto, e non Reparto.
Riparto significa "ri-parto".
Poi ricordo che sono sempre stato restio a lavare il mio maglione, quando tornando da un'uscita con pernottamento si trovava appiccicato quell'odore deciso di legna bruciata.
Nulla vale l'odore di quel fuoco.
Ho paura, eccome. Vuol dire che in corpo avrò una consistente dose di coraggio.
Due strade divergevano nel bosco... se ho sempre scelto quella meno battuta ci sarà una ragione. Da questo, comunque, è venuta tutta la differenza.
Non prenderò subito la Cassia, allora. Farò un giro diverso da quello dell'andata; passerò per alcuni paesi.
Il bosco attorno è bello e buio e fitto.
E una storia d'amore assurda come quella per un giglio non meritava certo un finale insulso.
Il motore è acceso.
'Cause i've promises to keep
and miles to go before i sleep.
And miles to go before i sleep.
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