mercoledì 4 dicembre 2013

Recensione album Mondovisione di Ligabue - inediti 2013


L'osservazione più perspicace e pertinente su Mondovisione, l'ultimo album di inediti di Ligabue, l'ha fatta il mio amico Filippo, un accaloratissimo fan classe '87 dalla scorza dura e dai ricordi radicati al primo magico Campovolo. Sapendo che, immerso tra le scazzottate con la prima influenza stagionale, smaniavo per scriverne una recensione, il mio amico si è premurato di farmi pervenire il suo punto di vista:

La differenza più evidente tra il nuovo e il vecchio Liga
 si sintetizza con un'assenza di storie. 
Prima ci cantava di Walter, di Veleno, di Lui e Lei, 
di Mario, di Elvis, dei ragazzi che erano in giro, 
della bambolina che si trasformava in barracuda. 
Ora sente l'esigenza di parlare di sé, del suo amore, della sua famiglia. 
Come se avesse paura di essere dimenticato.


Tolte le conclusioni, che mi trovano leggermente in disaccordo, direi che l'analisi è quasi perfetta. 
C'è un'assenza di storie; questo è indubbio: tuttavia non è nemmeno una novità. Luciano Ligabue è sempre stato un cantautore dalle venature a tratti profondamente ermetiche e il suo ermetismo ha sempre  offuscato un po' le identità dei vari personaggi rappresentati. Niente di male in tutto ciò; anzi: è proprio l'avere creato personaggi sì caratterizzati (eccome!) ma allo stesso tempo dai contorni sfumati, quasi anonimi o comunque con nomi piuttosto vaghi (Elvis, Veleno, Mario il barista, Lui e Lei) ad avere favorito una sorta di identificazione tra i personaggi stessi e il pubblico. Perché, in realtà, è questo ciò che il pubblico vuole. Il pubblico vuole ritrovarsi nella canzone; a chi ascolta piace che la canzone parli un po' anche di sé. 

Più propriamente è dai tempi di Nome e cognome che i personaggi di Ligabue sono scomparsi per lasciare spazio a situazioni, a stati dell'essere, a realtà e modi di vivere più convenzionali, più alla portata di tutti. Sia chiaro, non stiamo descrivendo una regressione: ogni artista si evolve; e gli fa bene: la ripetitività alle lunghe annoierebbe. Più che altro è possibile rintracciare una questione "pittorica", di intrecci narrativi e di tinte, di punti di partenza e di conclusioni al presente. 
Né è vero che i personaggi siano effettivamente scomparsi tutti: se ammettiamo, infatti, che le storie del primo Ligabue avessero al loro interno del vissuto, in prima persona o per conto di terzi, allora ci accorgiamo che, più semplicemente, si è spostato l'asse di riferimento da cui il nostro attinge i suoi miti. 

Sarà un caso, mi domando, che in ognuno degli ultimi due album (Arrivederci Mostro! nel 2010 e Mondovisione per questo finale di 2013) fosse presente un brano che si rifà al Ligabue più propriamente letterario, ossia Il peso della valigia e La neve se ne frega? Miti interni, quindi, sostituiti ai miti esterni. Non che ci voglia poi chissà quale mago Walter per creare un mito, o comunque un'immagine funzionale e "funzionante" partendo dal vissuto: la persona "con il nome da straniera, da chi è sempre stata sola" di Tu sei lei è sin troppo facilmente identificabile con Barbara, la nuova moglie di Luciano. "Barbara" d'altronde non significa forse "straniera"? Alle volte è così semplice... 

Altri personaggi minori, poi, si sono evoluti in figure ancora più vaghe e, perciò, ancora più facilmente sovrapponibili a categorie reali di persone vere. Sono perlopiù miti negativi, mostri del vero, del sonno della ragione per dirla alla maniera di Goya: il ragioniere prima, professore nella seconda edizione di La ballerina del carillon, potrebbe essere, oggi, "il capitano che vi fa l'inchino", oppure l'uomo velatamente presente con "le ragazze nella sala degli specchi".

C'è da dire che evocare immagini così manifestamente negative è, almeno in prima battuta, davvero alla portata di tutti: gli "avvocati che alzano il calice al cielo sentendosi Dio" in Il Muro del suono, "la promessa che non costa niente" del Sale della terra sono veramente icone di ogni giorno. Mantenendo il contesto così vago, creando "le figure dietro le figure" e prendendosela con "chi doveva pagare e non ha mai pagato" si rischia pure di creare invettive vuote, contro tutti e contro nessuno, all'insegna di una (per quanto lucida) demagogia che potrebbe fare chiunque. Certo, specie a salvare questi brani che si sforzano di essere impegnati, interviene sicuramente il suono: strumenti a tasti (di sottofondo) e a corde si masturbano rabbiosamente con complessi di percussioni decisamente aggressivi, certamente popolarissimi, e contribuiscono senza ombra di dubbio alla creazione di quel sound così difficile da scovare in un disco italiano e che non può non essere fonte e ragione di complimenti e di ovazioni quasi unanimi. L'unico fattore che mi preme sottolineare, semmai, è che la stessa Buonanotte all'Italia, perla della raccolta Primo Tempo, potrebbe a modo suo essere considerata una canzone impegnata. Con la differenza che "Il muschio ingiallito dentro questo presepio che non viene cambiato e non viene smontato e zanzare e vampiri che la succhiano lì se lo pompano in pancia un bel sangue così" come pure "l'Italia che si fa o si muore o si passa la notte a volerla comprare" sono riferimenti non troppo difficilmente scoperchiabili; inoltre, qui l'invettiva si fonde meravigliosamente a un inno che resta comunque d'amore e che, pertanto, avvalora e conferisce ancora più potere a una melodia dai picchi di per sé già molto alti. 

Ascoltando Con la scusa del rock 'n roll sembra quasi di veder tornare, sul suo inconfondibile maggiolone cabriolet, quel Marlon Brando che per anni ha infiammato tutte le piazze d'Italia; solo con i capelli corti e non più tinti. La scelta migliore all'interno di Mondovisione, a ogni modo, è stata quella di concludere il lavoro con Sono sempre i sogni a dare forma al mondo, brano dalla rara bellezza, quasi indescrivibile, che abbraccia suggestioni diversissime l'una dall'altra, eppure inscindibilmente essenziali: riflessione esistenziale, amore, sogni, vita, tenerezza, unicità di ogni individuo e speranza si fondono nell'alone di un alito volutamente onirico che fa terminare, con una punta di verde, un discorso generale dai colori più o meno accesi, accattivanti e convincenti. 

Tanto per essere chiari, si fatica a comprendere cosa ci stia a fare Nati per vivere una volta che è presente Siamo chi siamo. Così pure Ciò che rimane di noi e Per Sempre faticano a trovare una propria dimensione e a convincere appieno l'ascoltatore dal momento che La neve se ne frega e Tu sei lei hanno detto la loro. 
Fortunatamente, torniamo a ripeterlo, la barca Mondovisione ha in dotazione diversi salvagente nel "fattore suono". Piuttosto, quei fans di Ligabue che hanno seguito con attenzione i regali fatti dal loro beniamino ad altri artisti del panorama musicale si chiederanno dove siano andate a finire quella verve, quella capacità di introspezione psicologica e di osservazione dell'altro che hanno reso certe sue canzoni vere e proprie frecciate d'amore al cuore della gente. Cosa ne è dell'autore di Da qui, cantata dai Rio, che poteva essere un po' il seguito di Ho messo via? Dove è l'uomo che ha scritto, per farla cantare da una donna, Io posso dire la mia sugli uomini (interprete Mannoia) o la recentissima A modo tuo, una bellissima canzone sul rapporto madre-figlio contenuta ne L'Anima vola di Elisa? Per non parlare di quel conturbante duetto che fu Gli ostacoli del cuore, sempre con la ragazza di Monfalcone... 

Io non lo so: ma il fatto che Liga continui a produrre brani di tale intensità, che abbia la grandezza d'animo di regalarli (e perché no, pure che si possa permettere questo lusso) può tranquillizzare davvero tutti al riguardo di una realtà ancora incontrovertibile: possiamo continuare ad aspettarci ciò che non ci sogniamo da Luciano Ligabue.




Post Scriptum:

... giusto per chiudere una volta per tutte il discorso relativo ai "miti". La riprova di quanto le ultime canzoni di Ligabue parlino di "noi" piuttosto che di "loro" o di "me", inteso come "io narrante", sta proprio nel brano Siamo chi siamo. Dopo aver fornito due veloci ritratti distanti l'uno dall'altro prima di ogni altra cosa geograficamente (La ragazza di Torino e quella di Salerno), per sottolineare tutto ciò che ci lega Luciano fa ricorso a un vasto campionario di immagini, appena accennate, riferibili alla tradizione, ai proverbi, ai luoghi comuni, alla nostra cultura più o meno di base.
Nel mezzo del cammin di nostra vita è l'incipit della Commedia di Dante; il prezzo della mela per Adamo è un riferimento al primo tra tutti gli errori, dalla Genesi. E chi ha mai dimenticato una delle prime poesie che ci facevano studiare a scuola da bambini, San Martino di Giosuè Carducci, il cui verso iniziale è proprio La nebbia agli irti colli che forse sale?
A ragione, quindi, possiamo supporre che Non ci si bagna nello stesso fiume sia omaggio a Eraclito, uno dei pochi filosofi della Grecia antica generalmente simpatico agli studenti, indicato come autore della famosissima Pánta rhêi (πάντα ῥεῖ‎) ovvero Tutto scorre. E ci è legittimo, con un volo un po' pindarico, azzardare che persino Non si finisce mai di avere fame sia mutuato dal celebre motto del pensatore tedesco Feuerbach, L'uomo è ciò che mangia.
Come a dire, insomma, che queste canzoni sono nostre, che a parlare siamo noi e che noi siamo, appunto, tutti uguali, proprio perché figli della stessa cultura, delle stesse storie. Il significato di Siamo chi siamo è perciò quello di un Inno all'interno del quale stanno, come in un po' tutti gli inni, Identità, Ricordi e Tradizione.



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