sabato 23 gennaio 2016

Dies Attesæ 2015/2016

Dies attesæ 2015/16 

Sto guidando. Mi rendo conto che nelle ultime ore al volante ho coperto un numero di chilometri che mai avrei immaginato. Si sta facendo tardi; il sole comincia a calare sensibilmente. Schegge dorate se ne stanno sparse su un mare che non vedevo da circa tredici anni. Quando si propone alla vista per la prima volta il mar ligure è qualcosa di veramente spettacolare: si imbocca una galleria appena dopo essere usciti dalla Firenze-Pisa e, tempo un minuto e mezzo di tunnel, ci si ritrova davanti la costa. Forse è tanto bello proprio perché appare così, d'improvviso, dopo un'immersione nella montagna. Dunque cominciano i ponti: come ho potuto dimenticarli! Questi ponti che sono stati, in una certa misura, dei compagni di gioco per dieci anni. 
L'autostrada azzurra, da questo tratto in poi, è addossata alle montagne: alle montagne e alle loro rientranze, ai mille ruscelli. Ogni ruscello, ogni rientranza, è un nome. Tutti. Come ho potuto scordarmi di "Marcaccio", che facevo pesare al mio fratellino come un insulto...! Credo di averlo fatto piangere almeno una volta, grazie a Marcaccio. 
È già tardi, però. Molto più tardi di quanto temessi. Arrivo a La Spezia; i paesi della provincia genovese saranno per un'altra volta. Passo per La Spezia e mi inoltro fino alle Cinque Terre: non le ho mai viste; sono l'unico tratto di Liguria che manca totalmente all'inventario dei miei ricordi. Sono diversi mesi che ho una certa curiosità in proposito e oggi finalmente la soddisfo. 
Tornare in Liguria, anche se per così poco, è un bagno non richiesto (ma scontato) nei ricordi. Antichi, ma anche recenti. La vita non è solo ciò che si è vissuto, diceva Garcia Marquez, e adesso capisco un po' di più come e quanto sia vero. Capisco il come, incredibilmente. Dentro la città, mentre passo accanto all'arsenale militare, mi assale una strana nostalgia. Tento di mandarla giù muovendomi ancora più a ovest. Il mare sta finendo di ingoiarsi il sole. C'è ancora luce: è verde. 
Ricordo un'altra rifrazione molto simile a questa, solo mattutina. Ed estiva. Un caffè, un biscotto, una penna e un foglio di carta. E tante cose da dire: alcune purtroppo da tacere, da lasciare intuire. Le cose essenziali. Parole d'inchiostro comunque si depositarono dentro una busta che forse non è mai stata aperta. Di certo, non è mai stata capita.
D'altronde, noi siamo ciò che non diciamo, avrei finito di capire meno di un mese più tardi. 
Siamo ciò che non diciamo. Le nostre attese. La capacità di tacere e di ponderare, di attendere. Di attenderci. Siamo quel "mentre" intensissimo tra ciò che desideriamo e ciò che ci succede. 
Le cose non vanno quasi mai come le vorremmo: non sarebbe nemmeno giusto aspettarsi diversamente. Si sta come miracoli intempestivi in cerca di una futuribile completezza. Promesse che sperano un giorno di poter essere mantenute. 
Forse è per questo che mi sono messo in viaggio, stamattina. 
Per fare ciò che non ho potuto quando avrei voluto. 
Certo, solo adesso. In ritardo, ovviamente, per tutto. 
O forse, con un poco di fortuna e di fantasia, semplicemente in anticipo rispetto a una seconda occasione.