domenica 29 giugno 2008

Dovevamo saperlo che l'amore - Discorso della Luna


Con questo video cominciamo una serie di post volta a trattare di un interessantissimo romanzo che mi è capitato di avere tra le mani ultimamente. Non credo che nessuno dei miei lettori conosca "Dovevamo saperlo che l'amore", e proprio per questo voglio condividere con voi le emozioni migliori che ho provato leggendo questo "manoscritto", questo particolarissimo ma suggestivo e simpatico ritratto dell'italia dal il primo '900, fino agli anni '70.
Oggi sono stanco, non mi va di approfondire. Beccatevi questo capitolo, che parla dell'apertura del Concilio Vaticano II.
Buona lettura:

DISCORSO ALLA LUNA


“Cari figlioli, sento le vostre voci, la mia è una voce sola, ma riassume la voce del mondo intero…”
I fatti del mondo a me non interessavano, tranne che non si parlasse di calcio o di ciclismo. Ma quella volta fui attratto come da una calamita.
“Si direbbe che persino la luna si è affrettata stasera… osservatela in alto… a guardare questo spettacolo. Chiudiamo una grande giornata di pace…”
Il discorso alla luna di papa Giovanni: con questo dichiarava aperto il Concilio Vaticano secondo. Quel papa, rotondetto e buono, parlava in modo strano, insolito. Da quella finestrella lassù che sembrava illuminata come dalla luce naturale di una greppia. In casa corsero tutti davanti alla televisione.
“La mia persona non conta niente, è un fratello che parla a voi diventato Padre per la volontà di nostro Signore…”
Zio Paolo strabuzzò gli occhi: “Ma come parla?”
“Continuiamo a volerci bene così… cogliere quello che ci unisce…”
Mio padre a questo punto sbottò a piangere, in maniera irrefrenabile. Nonna, dietro a lui.
“Fratres sumus…”
Io strillai: “Significa ‘siamo fratelli’”
Fui zittito.
“La luce che splende sopra di noi, che è nei nostri cuori, che è nelle nostre coscienze, è la luce di Cristo…”
Mamma non si trattenne più: scoppiò a piangere pure lei.
Resistevamo io, zio Paolo, Nina e Gabriele, sposi di fresco. Nina era incinta.
Gabriele disse: “Gajardo ‘sto papa.”
“Tornando a casa, troverete i bambini, date una carezza ai vostri bambini e dite ‘questa è la carezza del papa’…”
Nonna, fra le lacrime, rivolta a Gabriele: “’Stu papa è un santu… Proteggerà to’ figghia che sta per nascere.”
Gabriele e Nina erano lì lì per mollare.
“… troverete qualche lacrima da asciugare… dite una parola buona, il papa è con noi… specialmente nelle ore della tristezza e dell’amarezza…”
Commosso, mi voltai. Incredibile. Zio Paolo, lì nel suo angoletto, aveva gli occhi lucidi.
“… e poi tutti insieme cominciamo cantando sospirando piangendo…”
A quel punto in camera entrò Rosa, prese all’istante il contagio, prese a piangere a fontanella.
Io dietro a lei, Nina e Gabriele dietro a me.
Papà era a terra con le convulsioni; mamma, singhiozzando, tentava di tirarlo su.

- Nelson Martinico-

domenica 8 giugno 2008

Radiofreccia - Buchi


Un breve spunto di riflessione tratto da Radiofreccia, il capolavoro di Ligabue come regista.
Da quando siamo nati, anzi, da prima che nascessimo, la nostra vita è piena di buchi. Spiego subito questa frase con l'epigramma di un giovane poeta di mia conoscenza, Alessandro Riccioni:
E scusami se rido anche del sesso
ma trovo alquanto ironico tappare
il vuoto della vita con un buco

I buchi ci condizionano, di qualsiasi tipo essi siano. Mi scuso per la volgarità, ma voglio credere che quei miei pochissimi lettori siano elastici, e che possano quindi capire cosa intendo.
C'è per forza un qualcosa che manca, un anello, se non mancante, rotto in tutti noi; altrimenti il problema non si porrebbe nemmeno, e non ci sarebbero tanti coglioni come me in giro per la rete (ma non solo) a farcisi sopra le proprie seghe mentali.
Sopratutto non ci sarebbero molti degli episodi tristi che l'informazione ci propina tutti i giorni, nè così tanti giovani dipendenti dalle sostanze stupefacenti.
Perchè il vero buco non è quello che ha lasciato l'ago (ma dire eroina, almeno per me, è la stessa cosa di dire coca, spinello, sigaretta, ecc.. perchè la causa prima resta sempre una) quanto quello che, come nel video che avrete appena visto, ci fa dire invece "perchè no?".
Ma come, e sopratutto cosa tappa questo spirito dell'esistenza?
A modo mio, credo che la sua sempre più diffusa presenza/assenza sia dovuta anche al progredire delle moderne tecnologie. Non è un'affermazione che spiegherò facilmente: è la continua circoscrizione del mondo su se stessa, e l'avvento sempre più forte di un nuovo tipo di individuo solo, causato anche dalla sempre più forte "società delle cuffiette".
E', insomma, la semplice assenza di legami veri, di amore?
Non ho la fede per affermare coscienziosamente una cosa simile. Quel qualcosa ognuno tenta di tapparlo come preferisce, con hobby e sfoghi vari; ma chiuderlo completamente è impossibile. Il fumo e le droghe, a modo loro, funzionano: l'effetto dovuto al trasecolamento è talmente forte che, anche solo per un attimo, si ha l'impressione di non vedere più quel buco, come se in mezzo a lui e ai nostri occhi ci fosse una nera nebbia londinese. Funziona. Ma non è che una mera impressione, nulla più. Un'effimeratezza, che però impedendo di pensare, fa quantomeno sentire più allegri. Il non poter pensare corrisponde al non poter vedere, ma non saranno certo queste cazzate a riempire una mancanza così grande....

E su queste divagazioni del cazzo si chiude, non sapendo come concludere, questo post. 

martedì 3 giugno 2008

Tradimento e perdono, una delle canzoni del nuovo album di Venditti, racconta del sorriso particolare che ha caratterizzato e accomunato tre grandi personaggi (Agostino Di Bartolomei, Luigi Tenco e Marco Pantani), “campioni” nelle loro discipline ma segnati e condannati dall’infelicità. Nei loro visi ricorreva spesso un “sorriso sgomento”. In una società come la nostra, che non ammette errori e che “piange il campione quando non serve più”, un segnale così chiaro di paura e di malessere passa indifferente, come se la fragilità umana non fosse concessa. E Antonello allora riflette sul fatto che “ci vorrebbe attenzione verso l’errore” e invoca quindi quella sensibilità e quella solidarietà umana necessarie per non far cadere l'uomo nel baratro: “se ci fosse più amore per il campione oggi saresti qui”. Infatti per il campione lo sbaglio si paga anche più caro rispetto a una persona "normale": la sua figura è importante solo quando vince, e si porta quindi addosso il peso delle aspettative di chi lo vuole forte ma poi gli volta le spalle appena cade nell'ombra. Il campione può allora diventare facilmente vittima di un amore subdolo e crudele...
La canzone è l'anello di chiusura, la chiave di volta della redenzione che dichiara concluso il viaggio intrapreso. Un viaggio nel tradimento, nel rimorso, nel dolore e nell'introspezione; partito dalla consapevolezza dell'errore e dal ritorno dalla pelle al cuore.


(preso in parte dal blog di "Marta" www.vendittando.splinder,com)