giovedì 8 luglio 2010

La somma di due Solitudini


Questo è un raccontino che ho scritto tempo fà. Non dico quanto: potrebbe essere tanto come potrebbe essere poco. D'altronde non ha importanza, perchè nella mia memoria sembra insieme il ricordo di ieri come la produzione di una vita passata da troppo tempo. Le voci narranti sono due: L come lei, M come me. La storia che raccontano è la stessa. Una storia di solitudine e di amore. Qualcuno avrebbe detto stessa storia, stesso posto, stesso bar : e, per descrivere questa storia specifica, non c'è frase più azzeccata. I due personaggi quasi non si parlano, ma in qualche modo si raccontano l'uno in funzione dell'altro.
Non è una storia vera. Almeno, non ha motivo di essere una storia vera. In fondo cosa ve ne importa se è vera o no? Se ci pensate, però, non può essere vera. Non totalmente, almeno. Manipolando pensieri e coscienza di una persona esterna a me compio un atto arbitrario, in qualche modo di violenza. Alchè ne consegue che niente di ciò che ho scritto è vero per davvero. Se anche certe cose sono accadute, cominciano a essere false nel momento in cui ho deciso di interpretare bisogni e pensieri dei personaggi che hanno vissuto certi avvenimenti. Pirandello, a tal proposito, insegna.
Leggete dunque con gusto, riflettendo sulla fugacità e la mortale bellezza degli attimi sprecati: le cose che potevano essere e non sono state... la solitudine di chi cerca l'amore e non lo vede.


LA SOMMA DI DUE SOLITUDINI

-L

“Guarda un po’ chi arriva! Puntuale come sempre!”

La festa al pub è iniziata da due ore abbondanti quando la porta si apre ed entra Vinicio: barba sfatta di dieci giorni, zuccotto verde melma, giubbotto di pelle, jeans neri lucidi. Il solito cazzone. Subito gli vanno incontro cinque – sei amici e lui si mette a salutarne altre due paia, seduti ai tavolini.

Non è bellissimo, anzi… però è un tipo! Scrive cose bellissime e sembra vivere in un mondo tutto suo. E’ un po’ che era sparito dalla circolazione. Stamattina non mi ha nemmeno salutata… Ma che gli passa per la testa? Aspetto che ora lo chiamo: vediamo se mi degna almeno di uno sguardo… “Vinny!” gli faccio cenno di avvicinarsi. Oddio, e ora che gli dico?...

Mi vede, viene verso di noi, si ferma, dice due parole ad altra gente, batte il cinque a tutti, arriva. Si appoggia alla colonnina e si china verso di noi. E mò?

“Senti, è un po’ che non ti vedo più… ti volevo almeno ridare il cappello che mi hai prestato…”

Fà una smorfia vaga “Amen. Tienilo tu; ‘sti cavoli.” E se ne va.

Mio Dio, ma perché fa così? Ecco, ora ha visto proprio tutta la comitiva, ha salutato il festeggiato, si è preso una birra al banco. Meglio che esca, và…

C’è altra gente fuori. Mi siedo sul cofano di quell’auto, dietro al gruppo. Così sono in disparte, ma non troppo. Guarda, esce pure lui… circondato dagli amici, naturalmente! In una mano la birra, nell’altro il tabacco da rollare… Ma quanto cazzo fuma? Si arrotola una cicca, se la accende, butta il bicchiere di plastica ormai vuoto. Comincia a sparare cazzate e a sentire quelle che sparano gli altri. Non c’è niente da fare, non mi guarda. E, se lo fa, non si fa notare. Uffa. Oh no, arriva Rigo… ma quanto si accolla questo qua, invece? 'Signore… perché non mi interessa proprio nulla di quello che dice? Poi se non rispondo passo pure per asociale…

-M

Quando arrivo al pub sto fumando. Bene; sarà sì e no l’ottava della giornata: ho pure fumato poco. E' vero che è domenica…

Arrivato vedo gente che se ne sta proprio andando: ci sono Pino, Faber e Ping. Poi esce pure quel grandissimo paraculo di Faggio. Mammasanta, è un’epoca che non lo vedo! Sentiamo un po’ cosa racconta. Ci fumiamo una sigaretta insieme e restiamo a chiacchierare fino a quando non guardo l’orologio e mi rendo conto che, anche per un ritardo avvisato, due ore sono troppe: meglio entrare allora, và…

Come varco la soglia della Taverna li vedo tutti. Sembrano felici, tutti, e tutti mi salutano in maniera più affettuosa del normale. Sarà l’alcol, vai a sapere. Sto cominciando a convincermi che il posto, in fondo, mi piace, quando sento una voce chiamarmi. E’ lei. Mi fa segno di avvicinarmi. E avviciniamoci, dai… non prima però di avere perso tempo salutando tutti i tizi che becco nel percorso. Tutti con questa assurda voglia di ridere. Che cazzo avranno mai da ridere? A me basta pensare alla Roma di oggi e vorrei piangere… bah!

La raggiungo, mi chino a sentire che vuole. Non le do molta importanza: scelgo di fare il cazzone e dico due parole da cazzone. La verità è che quella ragazza mi fa impazzire: con lei i due neuroni che mi sono rimasti in testa vanno solo a targhe alterne. Me la scollo in un istante e torno a cazzeggiare con il circolo di amici drogati della situazione. Ordino una birra, tanto mica pago io…

Cazzo, questo posto mi fa venire l’asma! E poi lei è uscita. Andiamo a fumare, che è meglio… Chiamo a raccolta Lexie e Ciccio ed esco. Mentre la guardo di nascosto, mi giro una sigaretta.

Sarà felice il proprietario di quell’auto quando vedrà come gli ha sfasciato il cofano sedendocisi sopra. Bah, che stronzate che penso: è talmente piccolina che non peserà nemmeno quaranta kili…

Mentre perdo tempo a fare il grosso le si avvicina Rigo. Come da manuale comincia a parlare. A vanvera. Ma come cazzo fà a sopportarlo? Chissà, forse non lo regge neanche lei.

Decido di evitare un inutile travaso di bile e rientro con Alberto; mi racconterà del post incidente in motorino e mi distrarrò un momento…

-L

Aspetto che Rigo capisca che non è aria. E’ lento di comprendonio, ci mette un po’… ma alla fine se ne va! Alleluja! Sono tornati tutti dentro; qua fuori è rimasto solo il vecchio Ambrogio, il simpatico zio del festeggiato. Mi avvicino a lui. Che strano che è: gli darei almeno 65 anni, mentre invece ne ha circa venti di meno. Ed è un uomo solo, senza una donna. Sono felice che mi abbia preso in simpatia. Com’è caro!

… Potrebbe benissimo essere mio padre… Mi faccio abbracciare e lo abbraccio, gli rubo qualche sorso di acquavite.

Comincia a piovigginare. Lui esce di nuovo, sempre insieme ad Alberto. Sempre con la sigaretta tra le labbra. Mi riparo sotto l’asse dell’ingresso, mi accovaccio, mi chiudo in me stessa. Ambrogio sorseggia, loro due parlano. Vinicio sta dicendo che stasera dovrà studiare fino alle due di notte. Si imbottirà di caffè, pensa ad alta voce. Capirai, non fa una ceppa tutta la settimana, ma quando si chiude si chiude sul serio. E però riesce pure a venire alle feste… Che tipo! Bah, contento lui…

No, la porta si apre ancora! Dimmi che non è chi penso. Naturalmente sì. Rigo si avvicina e comincia a picchiettarmi il collo. Mammamia, che nervoso!

“Hai tanto sonno” dice.

Non è una domanda, né un’affermazione, né tantomeno un’osservazione idiota. Faccio comunque un cenno di assenso “Mmmh”

“Eh, mi dispiace che non c’ho un casco in più, sennò ti accompagnavo a casa”

“E vabbè, tanto torno in auto; vuoi mettere seduta lì dietro? Sto molto più comoda…”

“No vabbè, dicevo per dire..”

Deficiente. Che buffone che è, mio Dio.

Sentiamo le voci da dentro. “La torta!”. Mi sono salvata.

-M

Dentro al pub Alberto mi dice che il gomito gli dà ancora fastidio. Ma almeno ora riesce a portare la mano alla bocca. Comunque non se l’è sentita di prendere il motorino. E ha fatto bene. Si intromette nella discussione una zia del festeggiato: dice che una volta anche lei ha avuto un incidente in motorino ma, nonostante tutta l’acqua ossigenata usata, le sbucciature sul ginocchio si riempivano lo stesso di schifo. Non so davvero cosa rispondere, se non dire al mio amico di non preoccuparsi. E che cacchio so io, ‘n dottore?!

Ci prendiamo qualcosa al banco, usciamo ancora. Cazzo, comincia a piovere… Allegria! E chi ritorna a casa a fette, secondo il caro Padreterno? Mentre penso queste cose Lei si sposta da Ambrogio all’entrata del locale; si accovaccia, sembra quasi un funghetto. Parlo con Alberto, ma guardo solo lei…

Poi esce Rigo: ritorna all’attacco. Sarò paranoico, ma questa è la mia impressione: fa il provola. Come ne ho la certezza lo spezzo in due.

Comunque mando giù tutto, faccio finta di niente; continuo a parlare, a fumare, a tirarle occhiate di sfuggita. Poi ci dicono di entrare, che c’è la torta. E butto via la sigaretta.

-L

Ecco la torta. Sono tutti seduti ai lati della lunga tavolata vuota. Il festeggiato è in piedi: si gode gli auguri e gli applausi. Fa bene. Non trovo da sedere; pazienza. Sento la voce di Laura dire “Vinny, non fare il solitario…” lo prende per mano e lo porta i mezzo a noi “… anche se hai un po’ il fascino del tenebroso”

Lillo interviene “Sì, tenebroso è tenebroso… Ma er fascino ancora se lo deve conquistà!”

Lui sorride.

“Vero” gli risponde. E sorride.

Ho l’impressione che mi guardi, ma se lo fa è sempre quando i miei occhi sono altrove. Quando lo punto io è il contrario: i nostri sguardi non si incrociano.

Mi siedo su uno sgabello al bancone, abbastanza vicino a lui. In mezzo a noi c’è solo Ambrogio, che assaggia la torta. Passano 5-10 minuti; intanto hanno messo su un disco dei Queen. Che bello. Vinicio si dirige in fondo al tavolo, comincia a dare il cinque a tutti e si incammina verso l’uscita. Se ne va? Dico a mio fratello che ho sonno e voglio andare a casa. Tempo di prendere la giacca e salutare il festeggiato: siamo fuori.

Lui se ne è già andato. Senza nemmeno salutare. Ha salutato tutti, tranne me. Forse lo vedremo per strada passando in auto, mentre torna a casa a piedi. Anzi, per forza.

Naturalmente no.

-M

Il locale si è riempito di voci goliardiche che cantano versi d’occasione. Il pianerottolo della tavolata è pieno di gente: non ci entrerebbe più nemmeno uno spillo. Mi gusto lo spettacolo da dietro: sorrido guardando quel bamboccione del mio amico che spegne le candele, felice.

Che bella persona che è Mimmo. Una volta gli assomigliavo un po’. Ora io sono un gran figlio di puttana, per di più perennemente insoddisfatto della vita, mentre lui è diventato ancora più sensibile e buono: è certamente il migliore tra tutti noi. Mentre penso a queste cose sorrido, e mentre sorrido Laura mi strattona dolcemente, dicendomi qualcosa del tipo che a fare così l’isolato guadagno un po’ in fascino da tenebroso. Le sorrido: è una ragazza affettuosa e genuina, una che dice ciò che pensa davvero. Mi arriva anche un commento di Lillo cui rispondo con un sarcastico “vero”, senza dargli troppa importanza. Tanto so che difficilmente si sbaglia, come so di non essere in grado di cambiare.

Mi appoggio al bancone e mi godo la musica; Laura tenta di farmi cantare, entusiasta. Le rispondo rassegnato che le parole della Canzoni dei Queen non le ho mai sapute.

Intanto lei si avvicina. Si è seduta su uno sgabello, accanto ad Ambrogio, a mezzo metro scarso da me. La guardo. La guardo di sfuggita, è chiaro: in mezzo a tutta questa gente sarebbe davvero troppo compromettente fissarla a lungo. Ma chi mi conosce bene, chi sa tutto, sa che non ho occhi che per lei.

Cinque - dieci minuti passano così. Poi guardo l’orologio: le 11:30. Fosse una serata normale me ne fregherei, però mi torna in mente che domani mi interrogano e se non finisco di studiare saranno cazzi amari.

Faccio un rapido giro di saluti, abbraccio il festeggiato e scappo fuori. Senza neanche considerarla.

Esco dal locale. Due amici trentenni mi dicono che dovrei puntare alle venticinquenni, perché sembro più grande di quanto sia e rimorchierei una cifra. E’ una cosa che gli esce così, senza motivo. Tutto ciò mi fa ridere, sul momento solo sogghignare. Ma come, non rimorchio le sedicenni e dovrei alzare il tiro?!

Mi metto lo zuccotto in testa e giro l’angolo. E in quel momento penso a quel magnifico verso

Solo un po’ d’amore

Che diventa polvere

Che almeno fosse stata magica

La buttavo su di te…

E mi accorgo delle nostre indicibili solitudini.

Quell’altro grande cocainomane di Vasco decide di saltarmi in testa e la sua voce, sbucata da non so quale dimensione, mi ricorda alcune parole sentite già da qualche anno

Siamo qui… non mi senti?

Noi parliamo spesso, sì,

ma è così:

Siamo soli.

Vivere insieme a me

Hai ragione, ragione te,

Non è mica semplice…

La somma di due solitudini difficilmente diventa amore ricambiato: fa sempre e solo due solitudini.

L’amore che diventa polvere. Perché in fondo l’amore c’è. Solo, lei si aspetta di più da me e io mi aspetto che sia lei a darmi un segno.

Il risultato?...

Laura e il suo ragazzo mi incrociano per strada, in auto, e mi danno uno strappo fino a casa.


IL GIORNO DOPO

Lunedì, Bar Dot, ore 13:45

-L

Eccolo lì. Ma non dovrebbe essere a scuola? Ora gliene dico quattro per ieri…

-M

Eccola. Mi bevo ‘sto caffè, ormai freddo, e faccio finta di essere preso a scrivere… Vediamo un po’ cosa dice…

-L

Sono di fronte a lui. Che cavolo, ma fa finta di non vedermi o fa sul serio? Com’è concentrato… Gli sventolo la mano sotto al naso

-M

E’ lei… “Ciao…”

-L

Ma grazie mille…! Ora mi siedo di fronte a lui e… no, non è così che funziona! Sbuffo. Sarà lui a interpretare.

-M

“Che c’è?”

“Niente, sono stanchissima…”