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domenica 14 novembre 2010

IO & BRUCE: I'm on fire

Premessa: Forse, più che I'm on fire, la canzone di Springsteen più adatta a descrivere l'argomento sarebbe stata The promise. Ma l'idea nasce con I'm on fire, quindi sia I'm on fire...


Edipo

Gli psichiatri affermano, supportati dalle tesi sul complesso di Edipo, che il primo uomo che ogni donna ami nella sua vita sia riconducibile alla figura paterna, quando non vi corrisponde perfettamente.
Quindi sentirsi dire da una donna cose della serie "Assomigli un sacco al mio papà" non deve essere visto come motivo d'offesa (della serie "quanto sei vecchio..."), ma per ciò che vuole veramente dire il più spontaneo dei complimenti dettati dall'inconscio.
Questo stesso sentimento, a essere sinceri, non so con certezza se si sviluppi o meno anche nell'esemplare maschio nei confronti della madre. Poco ci importa, in fondo, perchè noi uomini, per quanto riguarda le donne, lo sappiamo. E questo, senza dubbio, ci aiuta in qualche modo a comprenderle.
Perciò quando Springsteen canta "Ehi little girl is your daddy home" mi posso sentire autorizzato a tradurre "Ehi bambina c'è il tuo uomo in casa".
Certi testi hanno tutto il diritto, quando devono essere tradotti, di essere (anche) "interpretati". Cosa che, alle volte, può fare comodo.

Promettere

I'm on fire. Sono in fiamme, sono nel fuoco.
Due, anzi tre, sono i giuramenti cosiddetti solenni e inviolabili: Il primo è quello "con lo sputo", molto usato sotto i tredici anni (e con pochissimo senso, se si vede con gli occhi dell'adulto); il secondo si fa con il fuoco (un'ustione suggella il patto); il terzo è la "promessa sul (proprio) sangue", che ha molto a che fare con la religione o (più spesso) con le sette.
Ero in Scozia, sull'isola di Skye (detta anche "isola delle nuvole"). Vi ero giunto come con un mattone che non sapeva ancora se piantarsi nel cuore o scendere giù nello stomaco. Sapevo che se stavo arrivando ai confini con il circolo polare artico doveva esserci un motivo: avevo una colpa da pagare, o almeno così credevo...
Beh, l'isola delle nuvole è stata consigliera in proposito. Poco dopo avere posato il culo su uno dei promontori che guardano il mare del Nord avevo capito cosa dovevo fare.
Il destino, l'ho già detto, esiste, ed è rapportabile a una partita di poker: cosa farai con le carte che vedi puoi deciderlo solo tu; ma quali carte avrai in mano non dipende da te.
Ecco, sta tutto qui il destino: sono le carte che peschi. Puoi giocarle al meglio, ma se non lo fai a ogni mossa sbagliata ne deve seguire almeno una giusta. Sennò sei fuori. E le chiacchiere stanno a zero.
Questo mi ha fatto capire l'isola di Skye: in passato ho avuto una mano fantastica, forse la migliore della mia vita. L'ho giocata male. Non nel modo peggiore, ma comunque male. Dovevo rimediare. Fare in modo che non avrei mai più giocato quelle carte. Non così. Dovevo giurarlo. Sul mio sangue.

Nobiltà

La nobiltà non è un fatto di sangue; è determinata dalle nostre azioni. Così chi rinuncia a quanto ha di più caro per il bene di altri, questi è nobile.
Dio mi ha fatto un dono: se lo avessi usato con coscienza sarebbe stato un ottimo talento da impiegare; ma non è andata così. Ho abusato del mio dono. E così facendo ho rischiato che potesse recare danni alle persone che amo. La parabola dei talenti ci insegna che il Signore si aspetta il massimo da ognuno di noi: restituire "solo" quanto ci era stato affidato è punito nel peggiore dei modi. "Mai sotterrare un talento, dunque!" sembra essere la morale.
E se il talento non fosse stato restituito affatto, cosa ne sarebbe stato del servo? Se questi avesse sì impiegato il suo talento, ma in modo sbagliato, e tanto da perderlo, cosa ne sarebbe stato di lui? Forse è meglio sotterrare che perdere completamente. Forse no. E forse sì. Almeno c'è la possibilità di dissotterrare ciò che era stato nascosto in precedenza. Non mi è dato saperlo e non lo so. So invece che le mie scelte non hanno minimamente tenuto conto di Dio, quanto delle sole persone che amo e della loro sicurezza. Bastavano e basterebbero ancora mille volte a farmi giurare sul sangue di rinunciare a quanto avevo e ho tuttora di più singolare. A farmi tentare per minuti troppo eterni un'incisione con un coltello senza lama. A farmi scegliere un ago da cucito come mezzo per ferirmi. A farmi sentire nobile. E' l'amore a farmi nobile, non Dio. Non Dio da solo, almeno.

Feudalesimo

Porgi l'altra guancia, ci insegnano i testi sacri. Non è un suggerimento dettato solo dalle beatitudini celesti o dal gran comandamento al perdono, quanto da un'usanza medievale.
I nobili non consideravano i plebei loro pari. Questo disprezzo di casta era tanto forte da indurli a colpire gli uomini "subalterni" con il dorso della mano: non con il "dritto" quindi, ma con il "rovescio". In questi termini porgere l'altra guancia diventava un atto di sfida: il servo della gleba obbligava così il suo padrone a colpirlo con il dritto anzichè con il rovescio. Accusando il colpo l'uomo semplice aveva obbligato il signore ad "abbassarsi" al suo stesso livello. Perdendo vinceva. E un atto di apparente umiltà e sottomissione si trasformava in mossa vincente, almeno sotto il profilo ideologico.
.. Quante battaglie potremmo vincere solo chinando APPARENTEMENTE il capo! e sto pensando, senza voli pindarici, alla vita di tutti i giorni. Con ciò non voglio dire che questo sia l'unico atteggiamento gusto da adottare, sia ben chiaro!
Proprio il giorno che apprendevo questo costume risalente al medioevo, un mio amico mi manifestava apprezzamento per il mio modo di fare diametralmente opposto. "Mi ha colpito" diceva "il fatto che rispondi sempre ai tuoi Tiranni.. Non chini mai il capo, non porgi mai l'altra guancia, anche se sai che resistere è inutile.. che non cambierai niente... Ci vuole coraggio".
O stupidità. O tutti e due.

Vivere

Più o meno so cosa sarà della mia vita. Ho visto e capito la mia strada attorno alle 12:30 di un 10 luglio molto caldo, mentre ero di fronte a me stesso e a un vodka liscio senza ghiaccio.
Diventerò professore. Non so quando, ma questo è il mio destino, il mio karma, il motivo per cui esisto, e succederà nel momento in cui dovrà arrivare, come i fiori quando sbocciano: tempo al tempo. Ho le idee chiare, ma ciò non mi impedisce di continuare a sognare. Ho tre sogni: tutti e tre diversissimi, ognuno completamente scollegato dagli altri, ognuno irrealizzabile o quasi... non per niente si chiamano "sogni"... ma non credo che vi interessino. Forse non interessano davvero nemmeno a me. Perchè tutti e tre insieme non valgono nemmeno lontanamente quella magia per cui, si dice, vale la pena vivere.
Quella magia per cui sono in fiamme.


giovedì 8 luglio 2010

La somma di due Solitudini


Questo è un raccontino che ho scritto tempo fà. Non dico quanto: potrebbe essere tanto come potrebbe essere poco. D'altronde non ha importanza, perchè nella mia memoria sembra insieme il ricordo di ieri come la produzione di una vita passata da troppo tempo. Le voci narranti sono due: L come lei, M come me. La storia che raccontano è la stessa. Una storia di solitudine e di amore. Qualcuno avrebbe detto stessa storia, stesso posto, stesso bar : e, per descrivere questa storia specifica, non c'è frase più azzeccata. I due personaggi quasi non si parlano, ma in qualche modo si raccontano l'uno in funzione dell'altro.
Non è una storia vera. Almeno, non ha motivo di essere una storia vera. In fondo cosa ve ne importa se è vera o no? Se ci pensate, però, non può essere vera. Non totalmente, almeno. Manipolando pensieri e coscienza di una persona esterna a me compio un atto arbitrario, in qualche modo di violenza. Alchè ne consegue che niente di ciò che ho scritto è vero per davvero. Se anche certe cose sono accadute, cominciano a essere false nel momento in cui ho deciso di interpretare bisogni e pensieri dei personaggi che hanno vissuto certi avvenimenti. Pirandello, a tal proposito, insegna.
Leggete dunque con gusto, riflettendo sulla fugacità e la mortale bellezza degli attimi sprecati: le cose che potevano essere e non sono state... la solitudine di chi cerca l'amore e non lo vede.


LA SOMMA DI DUE SOLITUDINI

-L

“Guarda un po’ chi arriva! Puntuale come sempre!”

La festa al pub è iniziata da due ore abbondanti quando la porta si apre ed entra Vinicio: barba sfatta di dieci giorni, zuccotto verde melma, giubbotto di pelle, jeans neri lucidi. Il solito cazzone. Subito gli vanno incontro cinque – sei amici e lui si mette a salutarne altre due paia, seduti ai tavolini.

Non è bellissimo, anzi… però è un tipo! Scrive cose bellissime e sembra vivere in un mondo tutto suo. E’ un po’ che era sparito dalla circolazione. Stamattina non mi ha nemmeno salutata… Ma che gli passa per la testa? Aspetto che ora lo chiamo: vediamo se mi degna almeno di uno sguardo… “Vinny!” gli faccio cenno di avvicinarsi. Oddio, e ora che gli dico?...

Mi vede, viene verso di noi, si ferma, dice due parole ad altra gente, batte il cinque a tutti, arriva. Si appoggia alla colonnina e si china verso di noi. E mò?

“Senti, è un po’ che non ti vedo più… ti volevo almeno ridare il cappello che mi hai prestato…”

Fà una smorfia vaga “Amen. Tienilo tu; ‘sti cavoli.” E se ne va.

Mio Dio, ma perché fa così? Ecco, ora ha visto proprio tutta la comitiva, ha salutato il festeggiato, si è preso una birra al banco. Meglio che esca, và…

C’è altra gente fuori. Mi siedo sul cofano di quell’auto, dietro al gruppo. Così sono in disparte, ma non troppo. Guarda, esce pure lui… circondato dagli amici, naturalmente! In una mano la birra, nell’altro il tabacco da rollare… Ma quanto cazzo fuma? Si arrotola una cicca, se la accende, butta il bicchiere di plastica ormai vuoto. Comincia a sparare cazzate e a sentire quelle che sparano gli altri. Non c’è niente da fare, non mi guarda. E, se lo fa, non si fa notare. Uffa. Oh no, arriva Rigo… ma quanto si accolla questo qua, invece? 'Signore… perché non mi interessa proprio nulla di quello che dice? Poi se non rispondo passo pure per asociale…

-M

Quando arrivo al pub sto fumando. Bene; sarà sì e no l’ottava della giornata: ho pure fumato poco. E' vero che è domenica…

Arrivato vedo gente che se ne sta proprio andando: ci sono Pino, Faber e Ping. Poi esce pure quel grandissimo paraculo di Faggio. Mammasanta, è un’epoca che non lo vedo! Sentiamo un po’ cosa racconta. Ci fumiamo una sigaretta insieme e restiamo a chiacchierare fino a quando non guardo l’orologio e mi rendo conto che, anche per un ritardo avvisato, due ore sono troppe: meglio entrare allora, và…

Come varco la soglia della Taverna li vedo tutti. Sembrano felici, tutti, e tutti mi salutano in maniera più affettuosa del normale. Sarà l’alcol, vai a sapere. Sto cominciando a convincermi che il posto, in fondo, mi piace, quando sento una voce chiamarmi. E’ lei. Mi fa segno di avvicinarmi. E avviciniamoci, dai… non prima però di avere perso tempo salutando tutti i tizi che becco nel percorso. Tutti con questa assurda voglia di ridere. Che cazzo avranno mai da ridere? A me basta pensare alla Roma di oggi e vorrei piangere… bah!

La raggiungo, mi chino a sentire che vuole. Non le do molta importanza: scelgo di fare il cazzone e dico due parole da cazzone. La verità è che quella ragazza mi fa impazzire: con lei i due neuroni che mi sono rimasti in testa vanno solo a targhe alterne. Me la scollo in un istante e torno a cazzeggiare con il circolo di amici drogati della situazione. Ordino una birra, tanto mica pago io…

Cazzo, questo posto mi fa venire l’asma! E poi lei è uscita. Andiamo a fumare, che è meglio… Chiamo a raccolta Lexie e Ciccio ed esco. Mentre la guardo di nascosto, mi giro una sigaretta.

Sarà felice il proprietario di quell’auto quando vedrà come gli ha sfasciato il cofano sedendocisi sopra. Bah, che stronzate che penso: è talmente piccolina che non peserà nemmeno quaranta kili…

Mentre perdo tempo a fare il grosso le si avvicina Rigo. Come da manuale comincia a parlare. A vanvera. Ma come cazzo fà a sopportarlo? Chissà, forse non lo regge neanche lei.

Decido di evitare un inutile travaso di bile e rientro con Alberto; mi racconterà del post incidente in motorino e mi distrarrò un momento…

-L

Aspetto che Rigo capisca che non è aria. E’ lento di comprendonio, ci mette un po’… ma alla fine se ne va! Alleluja! Sono tornati tutti dentro; qua fuori è rimasto solo il vecchio Ambrogio, il simpatico zio del festeggiato. Mi avvicino a lui. Che strano che è: gli darei almeno 65 anni, mentre invece ne ha circa venti di meno. Ed è un uomo solo, senza una donna. Sono felice che mi abbia preso in simpatia. Com’è caro!

… Potrebbe benissimo essere mio padre… Mi faccio abbracciare e lo abbraccio, gli rubo qualche sorso di acquavite.

Comincia a piovigginare. Lui esce di nuovo, sempre insieme ad Alberto. Sempre con la sigaretta tra le labbra. Mi riparo sotto l’asse dell’ingresso, mi accovaccio, mi chiudo in me stessa. Ambrogio sorseggia, loro due parlano. Vinicio sta dicendo che stasera dovrà studiare fino alle due di notte. Si imbottirà di caffè, pensa ad alta voce. Capirai, non fa una ceppa tutta la settimana, ma quando si chiude si chiude sul serio. E però riesce pure a venire alle feste… Che tipo! Bah, contento lui…

No, la porta si apre ancora! Dimmi che non è chi penso. Naturalmente sì. Rigo si avvicina e comincia a picchiettarmi il collo. Mammamia, che nervoso!

“Hai tanto sonno” dice.

Non è una domanda, né un’affermazione, né tantomeno un’osservazione idiota. Faccio comunque un cenno di assenso “Mmmh”

“Eh, mi dispiace che non c’ho un casco in più, sennò ti accompagnavo a casa”

“E vabbè, tanto torno in auto; vuoi mettere seduta lì dietro? Sto molto più comoda…”

“No vabbè, dicevo per dire..”

Deficiente. Che buffone che è, mio Dio.

Sentiamo le voci da dentro. “La torta!”. Mi sono salvata.

-M

Dentro al pub Alberto mi dice che il gomito gli dà ancora fastidio. Ma almeno ora riesce a portare la mano alla bocca. Comunque non se l’è sentita di prendere il motorino. E ha fatto bene. Si intromette nella discussione una zia del festeggiato: dice che una volta anche lei ha avuto un incidente in motorino ma, nonostante tutta l’acqua ossigenata usata, le sbucciature sul ginocchio si riempivano lo stesso di schifo. Non so davvero cosa rispondere, se non dire al mio amico di non preoccuparsi. E che cacchio so io, ‘n dottore?!

Ci prendiamo qualcosa al banco, usciamo ancora. Cazzo, comincia a piovere… Allegria! E chi ritorna a casa a fette, secondo il caro Padreterno? Mentre penso queste cose Lei si sposta da Ambrogio all’entrata del locale; si accovaccia, sembra quasi un funghetto. Parlo con Alberto, ma guardo solo lei…

Poi esce Rigo: ritorna all’attacco. Sarò paranoico, ma questa è la mia impressione: fa il provola. Come ne ho la certezza lo spezzo in due.

Comunque mando giù tutto, faccio finta di niente; continuo a parlare, a fumare, a tirarle occhiate di sfuggita. Poi ci dicono di entrare, che c’è la torta. E butto via la sigaretta.

-L

Ecco la torta. Sono tutti seduti ai lati della lunga tavolata vuota. Il festeggiato è in piedi: si gode gli auguri e gli applausi. Fa bene. Non trovo da sedere; pazienza. Sento la voce di Laura dire “Vinny, non fare il solitario…” lo prende per mano e lo porta i mezzo a noi “… anche se hai un po’ il fascino del tenebroso”

Lillo interviene “Sì, tenebroso è tenebroso… Ma er fascino ancora se lo deve conquistà!”

Lui sorride.

“Vero” gli risponde. E sorride.

Ho l’impressione che mi guardi, ma se lo fa è sempre quando i miei occhi sono altrove. Quando lo punto io è il contrario: i nostri sguardi non si incrociano.

Mi siedo su uno sgabello al bancone, abbastanza vicino a lui. In mezzo a noi c’è solo Ambrogio, che assaggia la torta. Passano 5-10 minuti; intanto hanno messo su un disco dei Queen. Che bello. Vinicio si dirige in fondo al tavolo, comincia a dare il cinque a tutti e si incammina verso l’uscita. Se ne va? Dico a mio fratello che ho sonno e voglio andare a casa. Tempo di prendere la giacca e salutare il festeggiato: siamo fuori.

Lui se ne è già andato. Senza nemmeno salutare. Ha salutato tutti, tranne me. Forse lo vedremo per strada passando in auto, mentre torna a casa a piedi. Anzi, per forza.

Naturalmente no.

-M

Il locale si è riempito di voci goliardiche che cantano versi d’occasione. Il pianerottolo della tavolata è pieno di gente: non ci entrerebbe più nemmeno uno spillo. Mi gusto lo spettacolo da dietro: sorrido guardando quel bamboccione del mio amico che spegne le candele, felice.

Che bella persona che è Mimmo. Una volta gli assomigliavo un po’. Ora io sono un gran figlio di puttana, per di più perennemente insoddisfatto della vita, mentre lui è diventato ancora più sensibile e buono: è certamente il migliore tra tutti noi. Mentre penso a queste cose sorrido, e mentre sorrido Laura mi strattona dolcemente, dicendomi qualcosa del tipo che a fare così l’isolato guadagno un po’ in fascino da tenebroso. Le sorrido: è una ragazza affettuosa e genuina, una che dice ciò che pensa davvero. Mi arriva anche un commento di Lillo cui rispondo con un sarcastico “vero”, senza dargli troppa importanza. Tanto so che difficilmente si sbaglia, come so di non essere in grado di cambiare.

Mi appoggio al bancone e mi godo la musica; Laura tenta di farmi cantare, entusiasta. Le rispondo rassegnato che le parole della Canzoni dei Queen non le ho mai sapute.

Intanto lei si avvicina. Si è seduta su uno sgabello, accanto ad Ambrogio, a mezzo metro scarso da me. La guardo. La guardo di sfuggita, è chiaro: in mezzo a tutta questa gente sarebbe davvero troppo compromettente fissarla a lungo. Ma chi mi conosce bene, chi sa tutto, sa che non ho occhi che per lei.

Cinque - dieci minuti passano così. Poi guardo l’orologio: le 11:30. Fosse una serata normale me ne fregherei, però mi torna in mente che domani mi interrogano e se non finisco di studiare saranno cazzi amari.

Faccio un rapido giro di saluti, abbraccio il festeggiato e scappo fuori. Senza neanche considerarla.

Esco dal locale. Due amici trentenni mi dicono che dovrei puntare alle venticinquenni, perché sembro più grande di quanto sia e rimorchierei una cifra. E’ una cosa che gli esce così, senza motivo. Tutto ciò mi fa ridere, sul momento solo sogghignare. Ma come, non rimorchio le sedicenni e dovrei alzare il tiro?!

Mi metto lo zuccotto in testa e giro l’angolo. E in quel momento penso a quel magnifico verso

Solo un po’ d’amore

Che diventa polvere

Che almeno fosse stata magica

La buttavo su di te…

E mi accorgo delle nostre indicibili solitudini.

Quell’altro grande cocainomane di Vasco decide di saltarmi in testa e la sua voce, sbucata da non so quale dimensione, mi ricorda alcune parole sentite già da qualche anno

Siamo qui… non mi senti?

Noi parliamo spesso, sì,

ma è così:

Siamo soli.

Vivere insieme a me

Hai ragione, ragione te,

Non è mica semplice…

La somma di due solitudini difficilmente diventa amore ricambiato: fa sempre e solo due solitudini.

L’amore che diventa polvere. Perché in fondo l’amore c’è. Solo, lei si aspetta di più da me e io mi aspetto che sia lei a darmi un segno.

Il risultato?...

Laura e il suo ragazzo mi incrociano per strada, in auto, e mi danno uno strappo fino a casa.


IL GIORNO DOPO

Lunedì, Bar Dot, ore 13:45

-L

Eccolo lì. Ma non dovrebbe essere a scuola? Ora gliene dico quattro per ieri…

-M

Eccola. Mi bevo ‘sto caffè, ormai freddo, e faccio finta di essere preso a scrivere… Vediamo un po’ cosa dice…

-L

Sono di fronte a lui. Che cavolo, ma fa finta di non vedermi o fa sul serio? Com’è concentrato… Gli sventolo la mano sotto al naso

-M

E’ lei… “Ciao…”

-L

Ma grazie mille…! Ora mi siedo di fronte a lui e… no, non è così che funziona! Sbuffo. Sarà lui a interpretare.

-M

“Che c’è?”

“Niente, sono stanchissima…”

domenica 13 giugno 2010

Poesie sparse...14


questo è stato un caso rarissimo, quasi unico, per quanti di noi non credono all'ispirazione. Io, da parte mia, ci credo, ma non per questo lo stupore, l'incredulità e l'ansia per qualcosa che è "salito sù" violento come il vomito non mi hanno colpito sia sul piano fisico che su quello psicologico. Su quest'ultimo sopratutto, poche altre volte nella mia vita sono stato così debole (ripeto: mentalmente parlando) come subito dopo avere scritto questi pochi versi. Ho detto che sono saliti sù come il vomito, e non a caso, perché il processo che mi ha portato a scrivere questa volta ha funzionato al contrario: dall'ultimo verso!
L'ultimo verso immaginato durante un raptus alle terme... dopo due ore è seguito il penultimo e solo poi, in ordine sparso e durante una mezz'ora abbondante tutti gli altri.
Mentre la buttavo giù sapevo solo che stavo scrivendo, o almeno volevo che ciò che scrivevo fosse allo stesso tempo qualcosa di bello da leggere e triste... triste come non avevo mai fatto: scrivevo con un senso di vuoto, di fame, e volevo trasmettere questa sensazione a tutti i miei potenziali lettori: vuoto, tristezza, fame. Fame d'amore sopratutto. Il verso che mi è costato più fatica è il 7°: esprimere in un endecasillabo il miracolo di una nascita, qualcosa che non ho mai visto accadere, è stata una sfida del momento, un modo per staccare la spina dal mio personale "io poetico" e creare qualcosa "di più" rispetto ai soliti abusati versi adolescenziali.


Le cose che rallegrano alle volte
hanno la forma di un bocciolo in fiore
di un riso contagioso di un'occhiata
complice l'esca di ogni nuovo amore
nonni che ammiccano ai nipoti svegli
le lettere che più non aspettavi
un bimbo nato una magia un miracolo
la donna che sorride, sai è felice.
Nient'altro voglio è tutto quel che sogno:
Ciò che ho perduto, ciò che non ho avuto.

sabato 29 maggio 2010

Benedition is Over



Questo è (forse) il post più inutile che abbia mai pubblicato.
Forse (al contrario) il più sensato... chissà.
Giovedì 26 maggio 2010: il braccialetto bianco si è finalmente spezzato.
Era un banalissimo filo di cotone arrotolato tre volte intorno al polso: il nodo (che non ho mai capito con quale fottuta logica fosse stato realizzato) era opera di un monaco tibetano che aveva provveduto, tra le altre cose, a incensare tutto il braccio recitando benedizioni su benedizioni in non so quale dialetto indocineseafghanoshaolin. Ero convinto che il filo avrebbe retto cinque mesi scarsi; è durato due anni.
Mi ero quasi assuefatto all'idea che quell'affare inutile potesse contenere davvero una sorta di benedizione, di portafortuna. Anche per questo non lo avevo mai tagliato, nonostante (d'estate sopratutto) a volte stringesse.
Sarò più di un ingenuo, più di un illuso, più di un pazzo, più di-tutto-quello-che-caspita-vi-pare, ma sopratutto ultimamente, dopo gli ultimi irreali avvenimenti, mi stavo convincendo che quel cazzettino bianco fottutamente sporcato dal sudore e dal tempo potesse veramente essere diventato un salvavita, un qualcosa che mi proteggesse veramente.

Ma ora... si è rotto. Il 26 maggio 2010. Esattamente un mese dopo quell'altro avvenimento, quello che forse è stato il più importante della mia vita, il 26 aprile 2010.
Sono un simbolista, probabilmente. Eppure sta maturando una certezza in me: sciocca, bambinesca, ridicola; ma sta maturando.
Probabilmente ciò che è accaduto non è benevolo come potevo pensare inizialmente, e il braccialetto non ha retto di fronte a tanto male.

Bando ai convenevoli dunque; il requiem per il braccialetto è ufficialmente finito.
La benedizione pure.

Benvenuti nel mondo reale.

martedì 11 maggio 2010

Se chiudi gli occhi poi.... Nuvole di Cenere

Allora...

Tante sarebbero le cose da dire, forse troppe; Più ancora sarebbero state le cose da scrivere in questi giorni, certamente in sovrannumero.

Avrei voluto scrivere qualcosa sugli ultimi scandalosi arbitraggi o sulla morte del calcio italiano targata lazio - inter e datata 2 maggio 2010.
Avrei voluto scrivere qualcosa sulla medianità e su certi curiosi episodi capitati molto recentemente... Ma non l'ho fatto.

E poi capita. Capita che una mattina che puoi svegliarti tranquillamente senza dover pensare a un cazzo a parte le due interrogazioni del giorno successivo e al nuovo cd del Liga, ti metti al pc e youtube ti ricorda che un tuo "amico" cantautore ha caricato una nuova canzone. E allore ci clicchi sopra, la stai a sentire e hai una strana sensazione: vorresti spaccare tutto, metterti a gridare... poi arrivano 4 sigarette e una mezza birra (dopo il caffèlatte) a far tornare la situazione in pace con se stessa. Ma qualcosa di diverso resta, è passato, e sai che c'è un'emozione vissuta su cui, comunque, non puoi più scrivere sopra.



La sera è il momento bastardo della giornata perché, complici i rumori del paese che si attenuano e una luce tenua filtrata dal tramonto, incominci a pensare. E pensi a quello che non hai più, quello che non è più tuo e non importa se era poco o tanto... Sai solo che ti manca e istintivamente alzi gli occhi al cielo perché sai che è il suo stesso cielo. Quello non cambia e mai lo farà. E le domande crescono, ma le risposte le puoi solo immaginare...
La puoi chiamare nostalgia o malinconia ma per me è solamente un po di vita che ogni sera un sole stanco ti fa rivivere per dopo portarsela via silenziosamente.
- 4tu -

lunedì 5 aprile 2010

Pensieri Collegati (?)

Questo è quanto ho scritto sul foglio di cui parlavo nel post precedente.
Se per questi luoghi passa qualcuno che ci capisce un minimo di psicologia, o che vuole comunque dare una propria opinione, è invitato a lasciare un commento o a mandare un messaggio.
Come ho già spiegato, questo è il frutto di un'ora di noia, e vorrei sapere se c'è qualche connessione logica tra questi stracci di scritti apparentemente incollegabili.

Se c'è qualcosa di speciale in cielo, prima o poi passerà di qui... - Ligabue

Che mondo sarebbe senza Montella?! - Curva Sud -

.. e, naturalmente, niente chiappe di Eva Kant..! - Matteo Scifoni

.. Ridi pure, ma non ho più paura di restare SENZA UNA DONNA! - Zucchero -

Io sono l'ITALIANO MEDIO nel blu dipinto di blu - Articolo 31 -

Questo è il mio cuore, come lo hai lasciato/Confuso come il cielo quando CURVA..// - Pix -

Ed è così che è nata (...) dall'amore di un ignorante per una fata. - Pix (evidentemente ispirato da Cremonini)

E dopo maiale, Majakovsky, malfatto.. continuarono gli altri fino a leggermi matto! - F. De Andrè -

And I've became comfortably numb.. - Pink Floyd -


E' tutto. Se qualcuno può aiutarmi a fare un po' di luce gliene sarei grato.
Thanks