domenica 19 settembre 2010

Strani Giorni -pt 1- Quell'ormone che trasforma la merda in cocaina - By Matteo Scifoni

Inauguriamo un breve ciclo antologico sull'opera prima e ultima (dunque la migliore finora pubblicata) di un vecchio amico: Matteo Scifoni.



Tornai in camera e mi infilai qualcosa addosso. Poi chiamai Enzo.
"Oh, vecchio."
"Mi passi a prendere?"
"Va bene... Quando?"
"Subito"
"Cristo santo, evita di tagliarti ambo le vene nel quarto d'ora che ci metto ad arrivare."
Ah, Enzo era veramente il più normale di tutti.
Raccattai l'essenziale, uscii dalla mia stanza e mi diressi con passo deciso verso la porta. Mia madre era appoggiata al muro della cucina, ancora in vestaglia, il viso distrutto per quanto aveva pianto.
"Vinicio... non sai quanto ti voglio bene..."
Restai a guardarla per un attimo.
"Come ti senti, tesoro?"
"Non lo so." E me ne andai. Feci le scale quasi correndo; quando fui fuori mi accesi una sigaretta in attesa che arrivasse Enzo.
Cercai di non pensare. Mi dissi no, non devi farlo. Concentrati su qualcosa. E invece niente. Non riuscivo a pensare ad altro. Forse ero impazzito. Già. Doveva essere così. Talmente matto che stavano arrivando per internarmi. O forse era tutta una cospirazione. Una cospirazione del cazzo. In realtà ero in possesso di un rarissimo ormone capace di trasformare la merda in cocaina, e FBI e KGB si stavano scannando per avermi. Doveva essere così. Di certo non mi avrebbe sorpreso. In quei giorni la realtà aveva assunto toni pastello e contorni sempre più assurdi e incomprensibili. Faticavo a stare dietro a certe cose. Cercavo di rientrare nei ranghi, ma non riuscivo a dare un senso all'insieme, e le cose finivano per sfuggirmi di mano.
(...)
Per trovare un posto senza gente bisognava infrangere la legge.
La postazione che scegliemmo era davvero niente male. Superate le recinzioni, ci sedemmo su una panchina che dava a strapiombo su degli scavi. 25-30 metri più alti rispetto alla strada. La vista era eccezionale - si vedeva gran parte della città - e il clima piacevolmente fresco. un'oasi di tregua da quelle giornate afose e appiccicaticce. Alla nostra destra, sistemati su una panchina a un centinaio di metri di distanza, c'era un gruppetto di hippy. (...)
"Che c'è dentro lo zaino?"
"Vecchio, io non faccio mai le cose malamente." Aprì lo zaino. Dentro, due lunghe baguette incartate e una mezza dozzina di lattine di birra.
"Enzo, sei un genio."
Il manto di luci baluginanti che si stendeva davanti a noi per chilometri e chilometri e chilometri mi sembrò essere un folto cimitero di lapidi al neon. Niente di più deprimente. Eppure strano. Da lassù avvertivo una sorta di distacco mentale da tutto ciò che mi circondava.
Mi era già successo, qualche mese prima. All'alba del terzo giorno, dopo due giorni e mezzo trascorsi nella villetta di campagna di Davide Tessaglia, per qualche oscura ragione uscimmo all'aperto, immersi nel gelo mattutino, avvolti nei sacchi a pelo, sull'orlo dell'allucinazione definitiva. Eravamo rimasti lì attoniti, a fissare la campagna che si animava. Mi ero sentito leggero, consapevole. Una sensazione difficilmente descrivibile. Avevo capito il senso. Per un attimo - un solo maledetto attimo - ma l'avevo capito.
(...)
"Allora..." sospirò Enzo, facendo seguire una lunga pausa. "Qual è il problema?"
"Il problema," ribattei, "è che non sono tagliato per questa merda."
"C'entra quella tipa, vero?"
"Oh, anche."
E buttai fuori tutto. (...)
"Brutta storia. Gran brutta storia," mugugnò Enzo.
"Lo so."
"Però ti ammiro, cazzo. Come diavolo fai a stare quassù? Io mi sarei già armato di tosaerba e fatto una strage."
"La mia ridente giornata non è finita qui."
"Ah, no?"
"No."
(...)
"Dio mio, vecchio... è... è incredibile. Non so che dire."
"Una bella bestemmia sarebbe appropriata."
"Non so veramente cosa pensare."
"Io neanche. Ci dev'essere qualcosa in me che non va. Non riesco nemmeno a sentirmi incazzato. Sto solo perdendo il senso della realtà. Non capisco più quello che succede. Sto impazzendo, tutto qui."
Seguì una lunga pausa. Le macchine scorrazzavano in lontananza.
Enzo riprese: "Io non la vedo così, vecchio. Che dovresti fare, spararti?"
"Aspetta un attimo," dissi brusco, "questa non è una faccenda che si risolve con un paio di frasi dette bene. Non è così."
Enzo si alzò a sedere e stappò una birra. Ne presi una anch'io. Passò qualche minuto.
"Hai ragione. Ti chiedo scusa, mi stavo comportando da stronzo."
Presi una sigaretta.
"Ti dico una cosa, vecchio," affermò Enzo. "Queste sono cose che succedono perchè devono succedere. Io ho una teoria riguardo a te. E quando me ne andavo in giro a dire e tutti mi dicevano di fottermi, io me ne sbattevo. Tu hai tutte le carte per fare faville, vecchio. Non puoi far finire tutto così. Lo so che questa è una botta dura da digerire, ma se resti in piedi è fatta, li hai battuti. Se resti in piedi non ti può succedere niente. E poi non devi essere troppo esigente. Tu sei uno dei buoni, amico."
Il vecchio Enzo era fatto così. Potevano passare anche tre mesi che sembrava che stesse su un altro sistema solare, e poi - BAM - se ne usciva con una di quelle cose dette col cuore, che ti lasciano di stucco.

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