domenica 10 maggio 2009

Dovevamo saperlo che l'amore -parte 3-

Se non vi degnate di commentare nemmeno questo, si vede che di storia e/o politica, non capite proprio un cazzo... dal già citato libro del professor Ligotti...

Lo hanno ammazzato.
Da non credere. Questa è la fine. La fine di tutto. La fine della politica.
Certo, non era un santo. Era pure stato difensore d’ufficio delle malefatte della DC. Ma che c’entrava ammazzarlo?
Ha vinto l’oscurità, la doppiezza, l’impostura. Da questo momento sarà impossibile tornare a fare politica come servizio. Hanno vinto i poteri occulti.
Adesso li arresteranno, si faranno arrestare, uno per uno. Qualcuno poi incomincerà a parlare. Ma non dirà mai tutto. Ammesso che questo qualcuno sappia qualcosa. Ma qualcuno sa. E poi non si scappa. O fra loro c’erano infiltrati, o in ogni caso si sono lasciati utilizzare, ‘sfruttare’. Ma non lo sapremo mai. Avevo visto giusto. E anche Tomasi aveva visto giusto. Anche se per lui non fa differenza. Per lui brigatisti, Berlinguer, Pajetta e company discendono tutti dalla stessa matrice, dallo stesso ceppo, ed è un ceppo maledetto… L’assassinio di Moro per lui è la conferma della sua premonizione, come un anatema: il comunismo crollerà. Stavolta ha rifinito il concetto: anche il PCI morirà. Prima si affloscerà, poi scomparirà. Non arriveremo al duemila che il PCI scomparirà dalla scena. Per una volta tanto spero che abbia ragione. Al posto del PCI, un grande partito veramente democratico, azionista, intransigente. Ma non credo che ci sarà spazio. Anche questo progetto hanno fatto fuori. Direi, soprattutto questo progetto. No, non era il PCI a fare paura: era l’intransigenza delle coscienze. Altro che compagni che sbagliano, questi sono killer coscienti e prezzolati. Hanno ucciso la politica, hanno segnato il futuro, lo hanno marcato a sangue, almeno per i prossimi cinquant’anni. Signori miei, mettetevi il cuore in pace. Ma su una cosa Tomasi sbaglia. Quando dice che, una volta presi, questi non usciranno più di galera. No. Questi signori dell’omertà usciranno di galera. È, probabilmente, il prezzo che avranno pattuito. Usciranno e apriranno dei salotti letterari. Poi si convertiranno alle ragioni di quella che continueremo a chiamare ‘democrazia’.
Quelli saranno tempi duri. Il clima sarà mutato. E non parlo del clima politico. Sarà quasi impossibile uscire di casa. Le piazze saranno divenute un manicomio. Una marea di macchine. La consacrazione del nuovo feticcio. Il loro numero raggiungerà quello delle teste pensanti. E non ci sarà più gara. Solo targhe. Tutti vittime. E carnefici. E soprattutto dovremo fare finta di niente. Magari ci consoleremo con qualche nuovo aggeggio tecnologico, di quelli che sulle prime ti fa dire ‘no, non me lo farò mai, io non sto nel gregge’. Ma poi te lo fai, sì che te lo fai. Te lo acquisti. E non è detto che siano tutti da buttare via. Tanto per non sentirti del tutto isolato. Dalle illusioni, dal futuro, da nuove prospettive. Perché è così. Perché per l’uomo tutto si riduce a questo. E non è una cosa astratta, una fola, una nuvola. Le nuvole non si costruiscono. Ma l’affanno per il futuro, per la solidità del futuro, per un futuro di soddisfazioni, questo sì che si costruisce, si medita, alle volte si pianifica pure. Anche i vecchi, nel tumulto dell’arteriosclerosi, parlano della felicità. E per questo vogliono scendere in strada. Tutti vorremmo scendere in strada. Il problema della felicità è legato a quello dello spostamento e della vista. Per questo hanno creato l’automobile. Per farci spostare, per aprirci gli orizzonti, per essere più felici. Ma poi si è scoperto l’imbroglio. Gli spazi si sono ristretti, gli orizzonti sono stati cementati, le automobili hanno invaso la battigia. Fra poco saremo tutti isterici. E allora la felicità mostrerà il suo vero volto: quello di un’angoscia mai sazia. A quel punto ci guarderemo attorno e scopriremo qualche altro marchingegno, ecco come ci arriveremo, qualcosa che ti permetta di essere perfettamente solo, perfettamente inebetito, ma trasognato. Allora nessuno si ricorderà di questo 9 maggio.
Sono stanco. Adesso chiamo Rino, giù in Sicilia, lui è uno psichiatra, sì, lo chiamo e mi sfogo con lui:
“Pronto… Rino, hai sentito?”
“Ho sentito, sì. Ma…”
“… che c’è?”
“C’è… di peggio.”
“Cosa?”
“Oggi stesso. Lo hanno ammazzato. Hanno ammazzato il mio amico…”
Non avrei mai conosciuto Peppino Impastato.
Da quel giorno esatto ho smesso di fare politica.

3 commenti:

Casal Paterson ha detto...

tutto bello, a parte il commento qua sopra.

per approfondire dai un'occhiata qua

http://paolofranceschetti.blogspot.com/search/label/Moro

Unknown ha detto...

Miki interessante scritto anche se per i miei gusti troppo pessimistico e nichilistico....

sarei curioso di sapere quando è stato scritto perchè a posteriori alcune conclusioni sono abbastanza semplici ma se scritto poco dopo quella giornata speciale allora è interessante parlare con chi ha simili facoltà d'analisi

PiX ha detto...

@Luca: (visto che finalmente ti posso rispondere quasi decentemente): guarda, lo scritto ha perlomeno vent'anni, poi non so esattamente se siano di più... insomma sì, magari se è di soli vent'anni fa si poteva prevedere la caduta del muro e dell'URSS, però l'arrivare addirittura al PD (e alla sua -momentanea- inutilità) e alla lobotomizzazione delle coscenze operata col supporto delle moderne tecnologie (più o meno voluta dall'alto, intendiamoci) mi era sembrato, quando l'ho letto la prima volta.... quasi un caso di pre-veggenza!