Scrivere è un'attività che coinvolge contemporaneamente cuore e cervello, due merci sempre più rare.
Così si leggeva tra le pagine del più noto romanzo di Carlos Ruiz Zafon, L'ombra del vento.
E se questa affermazione ha valore per chi scrive, come dire, "su carta" (per la narrativa, per la poesia, per il teatro), allora ha tanto più valore se riferita a coloro che, per natura o per mestiere, producono canzoni: musica e parole...
Perché riesca, perché riesca davvero, alla radice del prodotto artistico, quale esso sia, è veramente necessario un solo ingrediente; uno soltanto: la sincerità.
Il vero artista è più di chiunque altro sincero: anche lui può naturalmente cedere a facili indulgenze verso sé stesso; ma ciò dipende dal fatto che siamo umani e che, essenzialmente, non finiamo mai di sbagliare, di imparare e, in ultima analisi, di crescere.
Vedere un artista crescere è qualcosa che ha dell'indescrivibile: crescere non significa semplicemente cambiare, né tantomeno migliorare. Crescere significa evolversi. Dove l'evoluzione contempla e richiede almeno una base da cui partire, se non diversi strati sovrapposti di vita su cui costruire. Nulla si rade al suolo, se si tratta di crescere: si può piuttosto utilizzare come metafora il famoso precetto della fisica "nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma".
Ma dicevamo: il cuore e il cervello, la simbiosi tra musica e parole, l'indispensabile sincerità. Tutto questo contribuisce a creare il "cantautore": un termine senza dubio inflazionato e, purtroppo, attribuito con troppa faciloneria e troppo al ribasso.
Il fatto è questo: il cantautore, il cantautore vero, è e deve essere un artista completo. Deve essere musicista, paroliere se non poeta, editore, curatore, cantante, osservatore, perché no? un po' ballerino, compositore e regista. Non semplicemente un songwriter, perciò, ma proprio un cantautore, perché è questa la parola giusta.
Ora, di cantautori veri persino in Italia, la patria della canzone d'autore, se ne contano sì e no sulle dita di due mani: tra loro c'è senza dubbio Elisa Toffoli da Monfalcone, in arte Elisa e basta. Se qualcuno nutrisse dubbi in proposito, "L'anima vola" li spazzerà via come voglie secche per la strada.
La prova del nove per un cantautore vero (o, in questo caso, per una cantautrice vera) sta nel manifestare tutte le doti di cui prima, dimostrando però di essere più poeta che paroliere, con un lavoro che sia omogeneo, coerente e con appena quel tocco di misterioso che occorre per costringere chi ascolta a restare lì e pensarci sù, perché non è certo al 100% di averne afferrato il significato in tutte le sue sfumature.
Di Elisa sapevamo quanto fosse davvero una cantautrice: Dancing, Heaven out of hell, Luce, la stessa Life goes on, ritrasformata in Una poesia anche per te ce lo hanno dimostrato ampiamente nel corso degli anni. E stiamo citando solo i titoli probabilmente più noti. Ma stiamo citando, pure, solo singole canzoni, parti interne separate e forza da quell'unica struttura organica che è un album.
Non è possibile partire se non facendo un discorso d'insieme: dove è il mistero de L'anima vola?
In tutto ciò che si è scelto di non dire, naturalmente; in quella zona della comunicazione che a stento è definibile come "verbale". Ascoltando Pagina bianca si ha l'impressione di sentire Elisa singhiozzare, in Un filo di seta negli abissi c'è un mugugno, o comunque un mormorio sommesso, come di qualcosa che non si sa o non si vuole dire. Con A modo tuo notiamo addirittura la presenza di vagiti, in un'atmosfera iniziale che sa di ciucci e di carillon per la ninnananna, mentre E scopro cos'è la felicità ha un vaghissimo che di campane a festa e di organi spiritual. La voce di Non fa niente ormai sembra echeggiare appena, come in una caverna nascosta tra le scogliere e, da parte loro, le vocali di Ecco che appaiono "sbavate", quasi confuse nella brezza di un fresco vento primaverile, che le strozza e le trasporta come e dove vuole...
Tutto ciò, questo varissimo turbine di suggestioni è possibile in quanto Elisa sa bene cosa voglia dire "scrivere con il cuore e col cervello". E perché sa essere umile, ma di un'umiltà intelligente.
Nel suo ultimo lavoro sono presenti infatti ben 4 collaborazioni di un certo spessore: E scopro cos'è la felicità è legata al nome di Tiziano Ferro, che non a caso si muove perfettamente a suo agio tra i sussurri e i gorgheggi che lo caratterizzano; A modo tuo ed Ecco che sono firmate rispettivamente da Luciano Ligabue e da Giuliano Sangiorgi, mentre la musica di Ancora qui appartiene nientemeno che a Ennio Morricone.
Si badi bene: chiedere aiuto come mettersi a disposizione e accettare qualcosa come condividere non sono gesti solitamente istintivi per un creativo: tutt'altro. Vero è che i rapporti di amicizia e di forte stima possono favorirli, ed è questo il doppio caso di Sangiorgi e Ligabue. Abbiamo accennato, tanto per essere chiari, a una "umiltà intelligente": i regali bisogna saperli accettare. Saperli accettare davvero implica una cooperazione attiva. Ed Elisa è abile a prendere solo ciò che le serve.
Capiamolo così: se non lo sapessimo, potremmo pure credere che il testo di E scopro cos'è la felicità non sia stato scritto pensando a un neonato; però, una volta che la canzone è messa lì, accanto ad A modo tuo, è istintivo dedurlo. E, per il medesimo discorso, vista la storia di chi canta, entrambe le canzoni stanno meravigliosamente nel repertorio di una conclamata, fresca mamma.
Ma la scoperta della maternità non è certo l'unico tema dell'album. Un vero e proprio tema, in effetti, non c'è; ma c'è un filone narrativo esistenziale che, per sua natura, parla di tutto e di niente. Ci sono le scelte (e la difficoltà nel fare delle scelte), le delusioni, la durezza del rialzarsi, l'allontanamento da sé stessi, la genuina gioia di vivere, il desiderio di correre - e spesso non è importante la direzione, quanto il movimento.
Tutte queste fila sono, appunto, i turbamenti di un'anima, di un'anima che ha il privilegio di volare e di vedersi dall'alto, proprio come vedrebbe un altro diverso da sé. Essendo genuino, lo sguardo d'insieme è generalmente semplice, ma vive pure picchi di intensa incisività e di acutissima perspicacia. Esattamente come capita a tutti i comuni mortali. Si passa quindi dagli sconsolati e "rinfacciosi" E tu prova ad uscirne adesso...! all'enigmatico Non è amore: è uno specchio riflesso; dal formalmente semplice ma non per questo usuale Non mi comprare niente: sorriderò se ti accorgi di me tra la gente al sofisticato e un po' ermetico motto E gridavo al cielo "porta via questa rabbia, così se io non ci riesco saprò che tu l'hai data al vento".
La compenetrazione tra segno e senso, il fulcro del messaggio, si raggiunge per forza di cose attraverso l'apparato musicale. I suoni sono più che mai attori protagonisti delle vicende: in Specchio riflesso sembrano addirittura tremare, o comunque balbettare sempre una stessa frase, e non è difficile capirne il perché, visto il tema del brano: una magnifica elegia del dubbio nell'amore.
Le percussioni corrispondono più che mai ai battiti di un cuore e gli strumenti in generale, usando una metafora che alla stessa Elisa piace molto, "respirano", proprio come dei polmoni che rendono il fiato lungo o corto a seconda delle diverse occasioni: ed è un effetto, questo, incredibile se pensiamo che sono il pianoforte e le tastiere a dettare legge nella stragrande maggioranza dei brani. Strumenti a tasti quindi; non a corde o, come ci si potrebbe aspettare, a fiato.
Ma l'ingrediente segreto della ricetta resta comunque quella conturbante semplicità con cui si riesce a passare da Anche il dolce miele è un po' più amaro adesso fino all'esito originale del Filo di seta che ci univa e scendeva dall'universo giù negli abissi che Elisa decide infine di andare a cercare, da sola, "senza pluf"...!
O meglio: tra le lyrics ufficiali, quelle del libretto, figura "senza paura", ma ciò che si sente veramente è un "senza pluf". Ed è infinitamente più giusto e più bello che sia così.
Perché L'anima vola è l'album fotografico in autoscatto che un'anima ha fatto di sé stessa: ed è perciò con diritto che, di tanto in tanto, qualche angolo venga tagliato.
Un'anima non esiste in un dato momento: l'anima vola; esiste, perciò, nel passato, nel presente e nel futuro allo stesso tempo.
Un'anima si vede, ma non sempre si riconosce: potrà non essere logico, ma è la verità; quindi può starci anche un no-sense, o un che di inafferrabile.
Può starci, deve starci, insomma, anche un "pluf"...
mercoledì 23 ottobre 2013
lunedì 14 ottobre 2013
Monografie dallo schermo #14 - Oscar Diggs/ Il mago di Oz
Un giorno una ragazzina con delle magiche (e improbabili) scarpette d'argento verrà a insegnarmi che uno spaventapasseri può desiderare un cervello, che un uomo di latta non ricerca altro che un cuore e che persino un leone a volte si vergogna del coraggio che non ha... Ma questa è la storia di quello che è successo poi; e sono certo che voi tutti ne siete al corrente.
Quello che invece non sapete è come mi sia ritrovato ad abitare questo palazzo di smeraldo e, soprattutto, chi sia veramente lo stregone di cui sentite parlare da quando eravate bambini.
Ebbene, una volta esisteva Oscar Diggs, un prestigiatore da quattro soldi che girava per le provincie del Kansas dispensando numeri buoni solo per i creduloni e, a volte, nemmeno per quelli...
Poi è arrivata la mongolfiera, e un tornado che, d'un tratto, ha preso a erodere tutte le mie certezze e le mie priorità.
A cosa serve, in fondo, impugnare uno scettro, o bere da calici dorati e inzaccherati di rubini?
A cosa serve desiderare abiti d'alta sartoria, a cosa adescare ingenue fanciulle con il trucco, vecchio come il mondo, del carillon della nonna?
A cosa serve, insomma, essere un grand'uomo se non si possiede la bontà d'animo?
La tempesta mi ha catapultato, senza preavviso, diretto nella terra del mio cuore, tra logorroiche scimmie volanti, principessine dalle fattezze di porcellana, streghe buone e cattive: tutto per arrivare a capire che la magia, alle volte, sta nel riparare una bambola con la colla e il pennellino, nel porre rimedio alle proprie ottusità smettendo la maschera dell'avarizia, nel far brillare i fuochi d'artificio o nell'accendere un proiettore.
Smettere una maschera; che poi non significa per forza di cose rinunciare a quel gusto narcisistico che continuo a provare sapendo che, ogni qual volta si parli di me, tutti mi indicano come il grande e potente Oz .
Quello che invece non sapete è come mi sia ritrovato ad abitare questo palazzo di smeraldo e, soprattutto, chi sia veramente lo stregone di cui sentite parlare da quando eravate bambini.
Ebbene, una volta esisteva Oscar Diggs, un prestigiatore da quattro soldi che girava per le provincie del Kansas dispensando numeri buoni solo per i creduloni e, a volte, nemmeno per quelli...
Poi è arrivata la mongolfiera, e un tornado che, d'un tratto, ha preso a erodere tutte le mie certezze e le mie priorità.
A cosa serve, in fondo, impugnare uno scettro, o bere da calici dorati e inzaccherati di rubini?
A cosa serve desiderare abiti d'alta sartoria, a cosa adescare ingenue fanciulle con il trucco, vecchio come il mondo, del carillon della nonna?
A cosa serve, insomma, essere un grand'uomo se non si possiede la bontà d'animo?
La tempesta mi ha catapultato, senza preavviso, diretto nella terra del mio cuore, tra logorroiche scimmie volanti, principessine dalle fattezze di porcellana, streghe buone e cattive: tutto per arrivare a capire che la magia, alle volte, sta nel riparare una bambola con la colla e il pennellino, nel porre rimedio alle proprie ottusità smettendo la maschera dell'avarizia, nel far brillare i fuochi d'artificio o nell'accendere un proiettore.
Smettere una maschera; che poi non significa per forza di cose rinunciare a quel gusto narcisistico che continuo a provare sapendo che, ogni qual volta si parli di me, tutti mi indicano come il grande e potente Oz .
Oscar Diggs; Il grande e potente Oz (2013)
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