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martedì 3 febbraio 2015

Monografie dallo schermo #21 Severus Piton from Harry Potter


Ho il naso adunco, lunghi capelli neri impiastricciati e le movenze di un sinistro pipistrello. A questo potete aggiungere che mi vesto sempre con lunghi completi scuri da stregone e che sul mio braccio sinistro pulsa ancora, tatuato, il lugubre simbolo dei Mangiamorte.
La mia vita è stata una menzogna, ma una menzogna senza dubbio più onorevole e più audace di millemila altre verità. Silente, che è l'unico a conoscere i fatti per intero, mi reputa un uomo coraggioso e probabilmente sono il più coraggioso tra tutti gli appartenenti all'Ordine della Fenice. Perché c'è un coraggio che trascende ogni cosa e che non consiste nel rischiare ogni giorno la propria pelle, né nel fare il doppiogioco al cospetto del più potente mago oscuro legilimens di tutti i tempi, e neppure nel fidarsi ciecamente di qualcuno senza conoscere la vera natura dei suoi stessi disegni.

No: il mio coraggio è stato nel nascondere a tutti la parte migliore di me è nell'aver continuato ad amare, anche dopo morta, sempre la stessa donna, al punto di dedicarmi alla costante, dissimulata, protezione del suo unico, sopravvissuto, figlio.
Perché Harry Potter è il figlio della donna che ancora amo, sì, ma pure dell'uomo che più ho odiato.



Alan Rickman performing
 Severus Piton
Harry Potter (2001 - 2011)

mercoledì 26 novembre 2014

Monografie dallo schermo #20 - James Barrie from Neverland


Fa presto mia moglie a rimproverarmi di non averla mai messa a parte del mondo che abito. 
Perché, forte della paziente scorza che mi permea, sono sempre, comunque, stato in grado di perdonarla. 
Perché nessuno si può cambiare o rendere diverso da ciò che è; e io mi rendo perfettamente conto che non è colpa sua se non è capace di volare. 
Come dite? 
Gli essere umani non sono in grado di volare?
... Invece lo sono, eccome! 
Certo, devi voler volare... Devi vestirti della fantasia più sfrenata, devi poter vedere in un cagnone triste un grosso orso trapezista in tutù, devi saper scorgere biechi pirati armati di uncino tra i pizzi e le rughe delle governanti imbellettate che si aggirano per la mia Inghilterra vittoriana. 
Devi avere, insomma, il cuore di un bambino, essere parte dei suoi pensieri felici... che, poi, sarebbero quell'ingrediente segreto, insieme alla polvere di fata, che ti fa sentire leggero fino al punto di sollevarti. 
Cos'altro aggiungere; mi sembra di avervi resi edotti circa le istruzioni per raggiungere la terra del mio cuore... 
Beh, vi fornirò gli ultimi tre indizi:
Primo; nonostante il mio nome di battesimo, James, evochi suggestioni corsare, sento da sempre di chiamarmi Peter. 
Secondo e terzo; la mia è un'Isola che non c'è: se prendete la destra alla seconda stella e poi vi tenete dritti fino al mattino, mi troverete lì ad attendervi... 


Johnny Depp performing
James M. Barrie; 
Finding Neverland (2004)

venerdì 24 ottobre 2014

Monografie dallo schermo 19 - Ponchia Paolino Marco e Cedro from Marrakech Express


Passo incalzante, quasi napoletano; mascella volitiva e sguardo da bullo colto a sognare nell'orizzonte: Ponchia. 

Un accenno di stempiatura, un naso appariscente da insicuro e un figurino esile: è Paolino. 

Capelli ricci e occhiali rotondi, con montatura tardi anni '80 a nascondere occhi da buono: Marco. 

Canottiera di lana da sotto una camicia a scacchi, scarpe da lavoro, barba e capelli in disordine, ma dal taglio giusto: l'uomo che viene dalla montagna è Cedro. 

Prima che la vita ci separasse abbiamo trascorso insieme la giovinezza e le prime occupazioni di un matto '68. Oggi, a testimoniare tutto quel periodo è rimasta solo una fotografia, la stessa di centinaia altre comitive, che ognuno di noi ha custodito gelosamente: dentro a quel riquadro le nostre fronti non si sono ancora imperlate di rughe, né di sudore, e stiamo per giocare a calcetto. 

... è rimasta solo quell'immagine. 
Unita alla certezza che tutti i cammelli del deserto non bastano a comprare un amico e che, a dispetto delle cicatrici, il tempo è in grado di riunire i suoi lembi lacerati persino in mezzo al deserto di Marrakech, davanti a una trivella per pozzi di modeste dimensioni. 




Diego Abatantuono, Giuseppe Cederna,Fabrizio Bentivoglio, Gigio Alberti
 performing

Ponchia, Paolino, Marco, Cedro;

 Marrakech Express (1989)

giovedì 21 agosto 2014

Monografie dallo schermo #18 - Gust Avrakotos from Charlie Wilson's War

Nota informativa: questo post non ha niente a che vedere con l'attuale dibattito parlamentare circa la possibilità di inviare armi ai curdi in Iraq contro l'Isis.



Come dire; c'è questa storiella del bambino e del maestro zen che, mi pare, parli da sola... 
Insomma, c'è un bambino cui, nel giorno del suo compleanno, i genitori regalano un cavallo. "Che bello" esclama lui; il maestro zen dice "vedremo"... Poi il bambino cade da cavallo e si rompe una gamba: mentre tutto il villaggio piange la disgrazia, il maestro zen sussurra "vedremo". Anni dopo, tutti i giovani vengono chiamati in guerra; ma non quel bambino, a causa della storpiatura: "si è salvato" pensa qualcuno; ma il maestro zen dice... Beh, avete capito. Ora prendete me: ufficialmente lavoro per il governo al ministero dell'agricoltura, nel dipartimento importazione mele; ufficiosamente sono un agente della CIA che, a differenza di tutti i suoi colleghi coetanei, è rimasto indietro con le promozioni. Ho studiato finlandese per tre anni mirando, come punto di arrivo, al comando del nostro distaccamento a Helsinki; ma un nuovo vice direttore figlio di puttana ha deciso di bloccarmi qui, al D. C., in uno squallido ufficio dedito a un proposito oscuro e ipocrita, inafferrabile come tutta questa Guerra Fredda. 
C'è da dire che mio padre gasava bevande in Grecia, mentre io me ne sto qui a ingrassare in tutta tranquillità... cominciate ad afferrare il senso di quella storiella insulsa, eh?... 
Mettiamola in questi termini: con, a disposizione, qualche centinaio dei milioni di dollari del Congresso, io e i miei ragazzi possiamo pure infliggere, per la prima volta, un colpo mortale all'Armata Rossa servendoci degli Afghani; ma non so dire se tutto ciò potrà essere considerato un successo, nel lungo periodo. 
L'America mi piace perché non combatte guerre sante: badate, non lo dico perché non creda in Dio. E sì che sono greco, di religione cristiano - ortodosso... ma, almeno in questo gioco, non credo in Dio; anche se, onestamente, ammetto che magari un bel paio di gambe potrebbe farmi cambiare idea...




Philip Seymour Hoffman 
performing 
Gust Avrakotos
Charlie Wilson's War - La Guerra di Charlie Wilson (2007)

domenica 6 luglio 2014

Monografie dallo schermo #17 - Alex Wyler & Kate Foster from the Lake House



Una radiosa promessa dell'architettura e un coraggioso medico in formazione. Abitiamo nella stessa incredibile casa sul lago e siamo pazzi l'una dell'altro. Eppure non ci siamo mai incontrati, fatta eccezione per un paio di frettolose parentesi che ci hanno visti vicini; talvolta vicinissimi, senza però che ci riconoscessimo davvero. 
Due anni ci separano, nel senso più assurdo e inaccettabile. Io sono Alex, e vivo nel 2004. Mi chiamo Kate; a quanto ne so siamo nel 2006 da parecchi mesi.
Il progetto lontano dal tempo e dallo spazio di un architetto trombato negli affetti si mostra, con questo inconcepibile edificio, in tutta la sua affascinante incompletezza; ed è probabilmente per questo che ci piace tanto. Questa casa simboleggia la proprietà, il contenimento e il controllo; ma non il contatto. Complici una cassetta della posta sicuramente un po' magica che ci permette di comunicare e una cagnetta di nome Jack che dorme come un umano, abbiamo costruito un rapporto solo all'apparenza costituito dal semplice scambio epistolare, ma in realtà riempito da lunghe passeggiate per la città, da scritte sui muri che abbattono le stagioni, da soste sotto la pioggia all'ombra di aceri spuntati rigogliosi nell'improvviso di due anni... e da Jane Austen, dalla persuasione che lentamente erode persino le certezze più orgogliose e che fa vincere, a dispetto del tempo e della logica, l'ineluttabilità di certi sentimenti, di certi destini. 



Keanu Reeves & Sandra Bullock 
performing
Alex Wyler & Kate Foster 
the Lake House -  La casa sul lago del tempo (2006)




Nota alla lettura: ovviamente il colore blu è per il personaggio di Keanu Reeves, mentre il rosso va attribuito a Sandra Bullock. 
Si è trattato di un esperimento, quello di far parlare due personaggi nella stessa pagina, nello stesso discorso, senza interromperne la continuità. Il risultato a me è piaciuto.

lunedì 2 giugno 2014

Monografie dallo schermo #16 - Ivan Benassi from Radiofreccia

Il nome ha poca importanza dal momento che, dalle mie parti, tutti mi chiamano Freccia. Devo questo soprannome a una curiosa e appariscente voglia che mi campeggia sulla testa, spostata a destra, proprio dove inizia la stempiatura. 
Nonostante sia più vicino ai 30 che ai 20, il mio mondo è rimasto quello di una provincia italiana come tante, da vivere con una spensieratezza prossima alla delinquenza e al vandalismo. 
Sono gli anni '70: l'eroina sta arrivando persino qui a mietere stronzi a fiaschi e, finalmente, esistono le FM. In realtà io faccio l'operaio: quello che si è innamorato davvero di queste onde invisibili, in grado di attraversare il vuoto come il cemento, è Bruno. E però questo della radio è, non dico un mondo, ma un sistema che mi affascina subdolamente l'inconscio. Cioè, di notte, se proprio non riesco a dormire e il lambro è finito, non è che mi piaccia, però mi riesce naturale infilarmi una sigaretta tra le labbra e le orecchie tra i cuffioni e starmene lì a parlare, come in una confessione, dell'unica grande Inter, dell'inflazionata voglia di fuggire, della merda che ti fa mangiare la vita... e di quell'altra grande merda; l'ero, ancora lei: di come sappia portare un uomo a farsi fuori da solo, lentamente, nel giro di una notte, facendosi una paglia mentre si gusta i falò di due macchine rubate. 

Stefano Accorsi performing Ivan Benassi
Radiofreccia (1998)

venerdì 14 febbraio 2014

Monografie dallo schermo #15 - Anna Scott from Notting Hill


Quello che nessuno si degna mai di pensare è che, nonostante tutto, anche una grande attrice di Hollywood resta, comunque, solo una ragazza. Una ragazza come tante, una persona semplice cui può piacere persino mangiare in un fast food, o scavalcare con la complicità della notte la recinzione di un giardino solo per sedersi su una panchina in pietra e baciare un ragazzo appena conosciuto. 
Sono Anna Scott, la donna del momento, la stella più pagata del cinema: è innegabile. 
Ma pure sono, e resto, quella bambina innamorata dei cartoni animati al punto di registrarsi negli alberghi come la "signora Flinstone". 
Sono una ragazzina con il sogno di una vacanza in giro per il mondo che mi è rimasto strozzato qui, in gola, dalle necessità impellenti della mia fulminante carriera. Probabilmente è stato per questo motivo, per ingollare ancora una volta la pillola delle mie dorate restrizioni, che mi sono intrufolata di soppianto in un affollato quartiere londinese per mettere piede in un negozio di libri sui viaggi. 

Tuttavia nessuno sceneggiatore, neppure il più audace tra i registi che ho conosciuto, avrebbe mai osato propormi un copione secondo cui, varcata quella soglia, la ventenne di successo più desiderata al mondo avrebbe finito con l'innamorarsi del classico commesso, sfigatello e spiantato, dal capello "floscio" eppure così sensuale... 


Julia Roberts performing Anna Scott
Notting Hill (1999)

lunedì 14 ottobre 2013

Monografie dallo schermo #14 - Oscar Diggs/ Il mago di Oz

Un giorno una ragazzina con delle magiche (e improbabili) scarpette d'argento verrà a insegnarmi che uno spaventapasseri può desiderare un cervello, che un uomo di latta non ricerca altro che un cuore e che persino un leone a volte si vergogna del coraggio che non ha... Ma questa è la storia di quello che è successo poi; e sono certo che voi tutti ne siete al corrente.
Quello che invece non sapete è come mi sia ritrovato ad abitare questo palazzo di smeraldo e, soprattutto, chi sia veramente lo stregone di cui sentite parlare da quando eravate bambini.
Ebbene, una volta esisteva Oscar Diggs, un prestigiatore da quattro soldi che girava per le provincie del Kansas dispensando numeri buoni solo per i creduloni e, a volte, nemmeno per quelli...
Poi è arrivata la mongolfiera, e un tornado che, d'un tratto, ha preso a erodere tutte le mie certezze e le mie priorità.
A cosa serve, in fondo, impugnare uno scettro, o bere da calici dorati e inzaccherati di rubini?
A cosa serve desiderare abiti d'alta sartoria, a cosa adescare ingenue fanciulle con il trucco, vecchio come il mondo, del carillon della nonna?
A cosa serve, insomma, essere un grand'uomo se non si possiede la bontà d'animo?
La tempesta mi ha catapultato, senza preavviso, diretto nella terra del mio cuore, tra logorroiche scimmie volanti, principessine dalle fattezze di porcellana, streghe buone e cattive: tutto per arrivare a capire che la magia, alle volte, sta nel riparare una bambola con la colla e il pennellino, nel porre rimedio alle proprie ottusità smettendo la maschera dell'avarizia, nel far brillare i fuochi d'artificio o nell'accendere un proiettore.
Smettere una maschera; che poi non significa per forza di cose rinunciare a quel gusto narcisistico che continuo a provare sapendo che, ogni qual volta si parli di me, tutti mi indicano come il grande e potente Oz .

Oscar Diggs; Il grande e potente Oz (2013)


venerdì 20 settembre 2013

Monografie dallo schermo #13 - San Mononoke


Da che ne ho memoria, la mia famiglia sono i lupi della foresta sacra al dio cervo.
Vivo in un' angusta grotta che domina la valle, la cui unica entrata è un ponte di roccia sospeso nel vuoto, praticamente inaccessibile per chiunque non abbia una muscolatura ferina.
Quando i kodama, gli spiritelli degli alberi, hanno cominciato a diradarsi e i cinghiali a trasformarsi in demoni alimentati dall'odio, per me e per i miei fratelli la vita ha preso a coincidere con la sopravvivenza in un' angosciosa ed estenuante guerriglia. Contro gli umani della Città del ferro, naturalmente; contro quegli spregevoli spara-sassi al veleno, dissacratori di un universo che non possono comprendere.
Per questo li odio; perché, che se ne rendano conto o meno, odiano l'essenza stessa della vita. E in nome di questo infruttuoso scambio di risentimenti mi hanno affibbiato un nome che gli fa paura: Mononoke, "spirito vendicativo".
... ma tutti, tranne me forse, sanno che, nonostante le maschere tribali e le pellicce con cui mi calo in battaglia, in fondo sono umana a mia volta. Lo sa fin troppo bene quello straniero dal cuore puro che desidera non prendere posizione, perché convinto che in realtà siamo tutti "buoni" e che sia l'odio il solo nemico da cui dobbiamo guardarci.
Quando stavo per ucciderlo lui non ha avuto niente di meglio da dire se non che mi trovava bellissima: a me, la figlia di Moro, la regina dei lupi! Non ho potuto fare altro che desistere dal mio proposito, prendermi cura di lui, medicarlo e nutrirlo all'unica maniera che conosco: masticando al posto suo quegli alimenti che non era in grado di ingurgitare e versandoglieli poi in bocca, con una pratica molto simile a ciò che gli uomini chiamano "bacio".


San; Princess Mononoke (1997)

sabato 31 agosto 2013

Monografie dallo schermo #12 - Anakin Skywalker / Darth Vader


Da bambino avevo come l'impressione che i granelli delle sabbie di Tatooine mi parlassero. E io seguivo le loro indicazioni, tradotte perlopiù sotto forma di istinti, le volte che il mio padrone toydoriano mi obbligava a correre sul suo sguscio per le pericolose piste delle gare organizzate dagli Hutt.
Ero l'unico essere umano in grado di guidare quelle schegge e, forse proprio per questo motivo, dicevano che sarei diventato il miglior pilota della galassia. Poi, avvolto in un poncho kaki, è arrivato a liberarmi un uomo alto e io ho capito immediatamente che fosse un cavaliere Jedi.
Ma non ho abbandonato mia madre unicamente per seguire le orme di quel saggio maestro. No. La verità è che mi sono innamorato di un angelo, una creatura di cui avevo solo confusamente sentito parlare da alcuni mercanti di passaggio: li descrivevano come gli esseri più belli dell'universo... Ecco, direi che è stato più che altro per lei, per seguirla, che sono diventato anche io uno Jedi.

Sono nato senza padre: i maestri del consiglio erano convinti che fossi stato concepito dalla Forza stessa e su di me ha sempre aleggiato una pericolosa, indecifrabile profezia che mi ha portato a dimenticare il mio nome, a distruggere tutto ciò che ho amato e, infine, a trovare la redenzione nel volto sofferente di mio figlio.

Anakin Skywalker/Darth Vader; Star Wars (1977 - 2005)

mercoledì 14 agosto 2013

Monografie dallo schermo #11 - Chris



Per come la vedo io, un nero che muore per strada ha lo stesso diritto di essere seppellito nel cimitero del paese che possono avere un bianco o un cane.
... E per difendere questa mia convinzione, più che questo diritto, non mi faccio certo problemi a tirare fuori la colt, diavolo!
La mia abilità nell'estrarre il ferro dalla fondina è rinomata e, per averla al proprio servizio, molte persone sono state disposte a pagarmi profumatamente. Mi hanno sempre dato tanto, è vero, ma nessuno mi aveva mai offerto tutto: perché offrire tutto non è che una conseguenza della disperazione, specie se il tutto in questione equivale a pochissimo o a niente.
Allora non si può che accettare di mettersi in gioco, di regalare ciò che si è in nome di qualcosa molto più prezioso del denaro, di provare a cancellare per sempre tutti i Calvera che opprimono l'umanità umiliata e afflitta.
Ma, se è vero che nel West le notizie corrono pure senza bisogno di cavalli o telegrafi, qualcosa mi dice che presto saremo almeno sette pistoleros alla difesa eterna dei confini tra forza e prepotenza, pietà e misericordia.

Chris; the Magnificent 7 (1960)


giovedì 27 giugno 2013

Monografie dallo schermo #8 - John Coffey


Il mio nome è Coffey: si pronuncia come la bevanda, ma è scritto in modo diverso. Se voleste credere agli occhi e alla loro tradizionale distrazione, guardandomi di sfuggita potreste pensare che sono l'archetipo perfetto del criminale e trovereste giusto che debba scontare i miei ultimi giorni qui, al miglio verde, il braccio della morte di una prigione provinciale come tante negli Stati Uniti.
Ma la verità spesso è buffa e nel mio cuore alberga solo la gentilezza: se non vi fermerete al primo sguardo scoprirete che sono il tipo d'uomo che si mette a piangere per l'assurda morte di un topolino. E, se credete a questo genere di cose, scoverete dietro ai simboli di un latente e malcelato paganesimo il dono che fu di Gesù di guarire le malattie più atroci e pure di risuscitare i morti.


John Coffey; Il miglio verde (1999)

venerdì 14 giugno 2013

Monografie dallo schermo #7 - Han Solo


Sono il Comandante del Millennium Falcon, una bagnarola perennemente guasta che spaccio per la nave più veloce della galassia, in grado di seminare persino gli incrociatori imperiali... perché è questo che racconto. La verità è che sulla mia testa pende una taglia così grossa che tutti i cacciatori dello spazio, Bova Fett in testa, sono sulle mie tracce: alla fine Jabba the Hutt si è stancato di avere alle sue dipendenze un contrabbandiere mediocre come me, pronto a scaricare nel nulla cosmico le più preziose merci al primo segnale di pericolo.
Ma un giorno, a Mos Esley, mentre me ne stavo seduto a un bar insieme a Chewbecca, il mio migliore amico wookie, mi si è presentata un'occasione facile facile, che pareva venire apposta per cancellare tutti i miei debiti. Un  "carico" di appena quattro esseri: un ragazzo, due droidi e un vecchio. Non potevo immaginare quanto sarebbe cambiata la mia vita, da quel momento.
In seno alla ribellione è venuta fuori la mia naturale stoffa del capo e, nonostante l'aria da canaglia e l'inossidabile boria che mi accompagna, a furia di tirarla fuori dai guai sono riuscito pure a far innamorare di me una principessa. Però, solo quando il cane dell'imperatore mi ha fatto congelare nell'azoto, lei si è dichiarata, finalmente! Io, con la mia imperturbabile faccia da schiaffi, le ho risposto che già lo sapevo.



Han Solo, Star Wars (1977 - 1983)

mercoledì 29 maggio 2013

Monografie dallo schermo #6 - Jack Harper



Il mio nome è Jack Harper, ma i droni preposti alla difesa dei convertitori dell'energia terrestre mi identificano come Tech 49. L'anno in cui vivo è il 2077: come tutti gli altri addetti al trasferimento della razza umana su Titano ho subìto un'iniezione che mi ha fatto dimenticare ogni cosa che abbia visto prima di questo lavoro. Del mondo dovrei sapere solo ciò che mi hanno detto: che c'è stata una guerra con un invasore alieno, gli Scavengers, all'incirca nel 2017; che abbiamo risposto all'attacco facendo l'unica cosa che dovevamo fare, ossia usando il nucleare; che abbiamo vinto, seppure al prezzo dell'inabitabilità su questo pianeta; che il mio incarico qui si esaurirà tra poche settimane.
Eppure ho usato il condizionale. Una scelta linguistica ben precisa, non rispondente solo al fatto che, nelle mie missioni, tenti di trafugare quanti più libri possa al fine di non dimenticare la storia della mia specie. No: ho detto volutamente "dovrei sapere solamente" invece di "so solamente" perché, seppure a sprazzi, conservo dei ricordi della mia vita prima dell'iniezione, prima addirittura della guerra. Sono ricordi che non dovrei avere e sono solo miei. Perché Vicky, la mia operatrice, non si pone le mie stesse domande. Non ha la mia curiosità, le mie premure fuori dagli schemi, le mie angosce. Perché, sopra ogni altra cosa, ce ne è una che davvero non capisco; c'è un'angoscia particolare, suggeritami da un fiore cresciuto su un pianeta che dovrebbe essere lercio di radioattività: se davvero abbiamo vinto, perché siamo noi a dovercene andare?


Jack Harper; Oblivion (2013)

mercoledì 8 maggio 2013

Monografie dallo schermo #5 - Michael Corleone


In fondo, gli affari non sono che un'asta: si tratta solo di fare offerte che non si possano rifiutare. E' semplice. Definire cosa sia lecito e cosa no, d'altro canto, è una banale questione di punti di vista.
Un capitano di polizia corrotto non è forse un nemico della Legge più pericoloso di me che lo compro?
Perché è di questo che si tratta: salvaguardare i propri interessi e mantenere la pace. Se necessario, fare la pace. Possibilmente, alla maniera dei Romani. Creando il deserto dove erano i nemici.
Ma non preoccuparti: se il tuo business non ha niente a che vedere con il mio non potrà esserci inimicizia tra noi. L'importante è, sempre, che mi si porti rispetto. A me e alla mia famiglia: la mia seconda parola d'ordine, l'altro grande motivo della mia esistenza.
Quindi pondera bene le parole e fai attenzione a cosa guardi e come: perché noi siamo siciliani e la nostra è una razza astiosa che si porta odii e rancori appresso da più di duemila anni.
Ma, nonostante la nostra terribile potenza, quando non veniamo ammazzati, di solito moriamo soli e inermi, abbandonati in un cortile di aranci.

Michael Corleone; Il Padrino (1972, 1974, 1990)

sabato 27 aprile 2013

Monografie dallo schermo #4 - Tom Booker



Ho studiato ingegneria e vissuto a Chicago, da giovane. E mi ci sono pure sposato, a Chicago, con una musicista di lì che suonava Bach in modo tale da farmi credere che non si potesse ascoltare nulla di così meraviglioso... Ma il mio matrimonio ha fatto in fretta a naufragare; così sono tornato all'ovile, nel senso più letterale del termine, mettendo definitivamente le radici presso la fattoria della mia famiglia, nel Montana. Banalmente possiamo dire che è stata la vita a mostrarmi, con le cattive, quale fosse davvero il mio luogo e se mi incontraste, per caso, su una piccola dimenticata strada di provincia mi prendereste per il classico rude cowboy che sono: ma questa, in fondo, è una maschera, seppure molto ben portata.

Hanno pure scritto degli articoli su di me, per alcune riviste specializzate. Dicono che io sia un "horse whisperer", uno che sussurra ai cavalli cancellandogli i traumi e le cicatrici dell'anima. Niente di più falso. Sono semplicemente uno cui la vita ha insegnato che non si può avere tutto e che, comunque, niente si può avere subito. Invece, è lecito affermare che abbia una gran pazienza, questo sì, e che tratti i cavalli come fossero persone. Per questo, quando Annie mi ha fatto conoscere Grace e Pilgrim, mi sono detto che, sì, un cavallo dal muso tumefatto e una ragazzina quattordicenne rimasta senza una gamba avevano i loro sacrosanti motivi di essere spaventati e arrabbiati con il mondo e che, perciò, anche loro meritavano una chance. 
Annie però è una donna sposata e suo marito è un uomo buono: le ho concesso solo l'emozione di un tramonto e del vento tra i capelli durante la nostra unica cavalcata insieme.

Tom Booker; L'uomo che sussurrava ai cavalli (1998)

domenica 21 aprile 2013

Monografie dallo schermo #3 - Jack Sparrow


Le mie mani sono piene di tatuaggi, porto una barba che da qui a breve farà tendenza e ho gli occhi profondi e smaliziati di chi ha visto abbastanza da capire che ogni patto ha la sua scappatoia e che, perciò, ogni legge, per quanto sacra essa sia, può essere elusa. 
Sono il Capitano della Perla Nera, la nave più veloce dell'oceano caraibico: tengo a essa decisamente più che a una donna. 

Il mio modo di essere pirata è alla vecchia maniera: sono spaventosamente attaccato al Codice; ma, anche qui, dovete saper leggere sulle mie melliflue labbra la parola "attaccamento" più che altro come "traccia da seguire" e non come rigida e tacita osservanza di un precetto.
Certo, il mondo sta diventando lentamente un posto troppo piccolo; ma dalla mia ho il vantaggio di non essere veramente ancorato a nulla che non sia me stesso. E non ho paura del domani, perchè ho con me una bussola dei desideri che mi farà veleggiare ancora e ancora oltre i confini del mondo e oltre i confini del mare.

Jack Sparrow; Pirates of the Carribean (2003 - 2011)

mercoledì 10 aprile 2013

Monografie dallo schermo #2 - Neo


Ho vissuto in un mondo artefatto di cui riuscivo appena a percepire le brutture e gli inganni. Ho scoperto quanto la realtà fosse una finzione abilmente rappresentata allo scopo di ingannare le menti di un'umanità lobotomizzata solo dopo aver seguito un coniglio bianco fino ai locali notturni dei bassifondi. Così, proprio come Alice, mi sono catapultato in un'esplosione di sconcertanti "meraviglie" che, con il tempo, ho imparato a ricreare o a plasmare da zero secondo i miei desideri.
Sono sfuggito ai terribili agenti guardiani del sistema che per più di venti anni mi ha tenuto prigioniero e alle più grottesche proiezioni del vizio per scoprire, quasi alla conclusione del mio percorso, che ogni inizio ha una fine e che ogni singola scelta, anche la più "insignificante", può alterare radicalmente il risultato dell'equazione del destino.

Neo, the Matrix (1999)

venerdì 29 marzo 2013

Monografie dallo schermo #1 - Robin Hood


Dalle crociate ho imparato una cosa: che non esiste alcuna guerra santa e che il mio Dio non può essere felice di ciò che abbiamo fatto laggiù. Me lo hanno rivelato gli occhi di una donna inerme, colmi di pietà, un momento prima che il mio sovrano Cuor di leone ci ordinasse di ripulire il mondo dagli infedeli.
Sono uno senza peli sulla lingua, uno che dice ciò che pensa, per quanto imbarazzante e scomodo possa essere. Ho una fede immensa nei debiti che contraiamo con la fortuna e nella parola data. Specie nella parola data a un uomo in fin di vita. Così, per restituire a un vecchio nobile inglese la spada rubatagli dal figlio morto, mi sono finto barone di Nottingham. Paradossalmente grazie a questa piccola bugia ho rinvenuto pian piano tutti i tasselli dimenticati della mia storia e ho finalmente aperto gli occhi, mostrando il mio sguardo feroce ai tiranni che affamano la povera gente, insegnando agli uomini onesti la libertà per diritto e sfruttando la mia temibile mira per appiccicare da lontano, con l'arco e con la freccia, il mio manifesto di ricercato sulle mura municipali della corruzione e di ogni disumana cecità.

Robin Longstride; Robin Hood (2010)