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domenica 13 giugno 2010

Poesie sparse...14


questo è stato un caso rarissimo, quasi unico, per quanti di noi non credono all'ispirazione. Io, da parte mia, ci credo, ma non per questo lo stupore, l'incredulità e l'ansia per qualcosa che è "salito sù" violento come il vomito non mi hanno colpito sia sul piano fisico che su quello psicologico. Su quest'ultimo sopratutto, poche altre volte nella mia vita sono stato così debole (ripeto: mentalmente parlando) come subito dopo avere scritto questi pochi versi. Ho detto che sono saliti sù come il vomito, e non a caso, perché il processo che mi ha portato a scrivere questa volta ha funzionato al contrario: dall'ultimo verso!
L'ultimo verso immaginato durante un raptus alle terme... dopo due ore è seguito il penultimo e solo poi, in ordine sparso e durante una mezz'ora abbondante tutti gli altri.
Mentre la buttavo giù sapevo solo che stavo scrivendo, o almeno volevo che ciò che scrivevo fosse allo stesso tempo qualcosa di bello da leggere e triste... triste come non avevo mai fatto: scrivevo con un senso di vuoto, di fame, e volevo trasmettere questa sensazione a tutti i miei potenziali lettori: vuoto, tristezza, fame. Fame d'amore sopratutto. Il verso che mi è costato più fatica è il 7°: esprimere in un endecasillabo il miracolo di una nascita, qualcosa che non ho mai visto accadere, è stata una sfida del momento, un modo per staccare la spina dal mio personale "io poetico" e creare qualcosa "di più" rispetto ai soliti abusati versi adolescenziali.


Le cose che rallegrano alle volte
hanno la forma di un bocciolo in fiore
di un riso contagioso di un'occhiata
complice l'esca di ogni nuovo amore
nonni che ammiccano ai nipoti svegli
le lettere che più non aspettavi
un bimbo nato una magia un miracolo
la donna che sorride, sai è felice.
Nient'altro voglio è tutto quel che sogno:
Ciò che ho perduto, ciò che non ho avuto.