mercoledì 6 maggio 2015
Poesie sparse... 50 - ti cherzo leare
Gli zigomi spocchiosi, è una minaccia
quel suo musetto buffo, è uno sberleffo.
È un'altalena insolita, il ricordo
di un tempo spiegazzato in mezzo ai prati.
E riesce a emozionarmi, sbarazzina,
quando le sopracciglia misteriose
sollevano un commento per svanire
ad esitare un "ciao" dietro ai capelli.
Lei, con quegli occhi, chiede solo il mare.
lunedì 27 aprile 2015
Progetto poetico Whydah Gally
Il 26 aprile, in realtà, è una data importante anche per un altro motivo (un altro? Diciamo pure un altro paio, ma vabbé).
Nella notte tra il 26 e il 27 del 1717, infatti, affondavano nei pressi di Wellfleet (Cape Cod, Massachusetts) la Sultana e la Wydah Gally, ovverosia le navi del pirata Samuel Bellamy.
Ventottenne, dopo appena un anno di carriera bucaniera che lo aveva visto abbordare una cinquantina di velieri, il Principe dei pirati veniva tragicamente risucchiato dal fondale marino.
Per Black Sam, la Wydah Gally era stata molto più di una conquista: era un punto di arrivo definitivo, una nuova possibilità di vita. Il nostro, secondo le cronache, si diede alla filibusta essenzialmente per amore: aveva una ragazza da sposare e necessitava di denaro. Semplice semplice.
La Wydah era un galeone spagnolo che seguiva la rotta degli schiavi e che aveva giusto caricato un ingentissimo quantitativo di oro e preziosi. Bellamy, insieme alla sua ciurma (composta perlopiù di schiavi liberati) otteneva così, inaspettatamente, l'occasione di smettere anzitempo con la pirateria e di ritirarsi a vita privata.
Il destino non gli fu amico, come ben sappiamo.
Ma l'immaginario comune ha scolpito, dentro di sé, un bel ritratto del Pirata gentile, anche a causa della sua disgrazia. Pare infatti che Bellamy non facesse mai più male del necessario alle sue vittime e che, anzi, talvolta gli equipaggi abbordati fossero felici di unirsi a lui.
Aveva l'abitudine di fare un "giro di prova" sulle imbarcazioni catturate e, qualora non le ritenesse migliori della sua, consentiva ai proprietari (depredati sì, ma incolumi) di proseguire lungo la propria rotta. In caso contrario effettuava uno scambio, tra la nave conquistata e la sua.
La cosa, a livello ideale, mi fa impazzire: la Wydah era una nave di schiavisti. Gli schiavi l'hanno catturata, vedendo in essa il miraggio di una vita che gli era stata negata. Di un nuovo inizio.
Con questa prospettiva dunque, di nuovi inizi e sogni finora negati, si è aperto da ieri il nuovo progetto poetico Wydah Gally. Significa, banalmente, che abbiamo il titolo per il prossimo libricino di poesie che regalerò in giro. Che abbiamo un contenitore per tutto ciò che ha seguito le ultime Roses in the rain, da settembre 2013 a oggi... e seguire.
Amici grafici avvisati, mezzi salvati.
Nella notte tra il 26 e il 27 del 1717, infatti, affondavano nei pressi di Wellfleet (Cape Cod, Massachusetts) la Sultana e la Wydah Gally, ovverosia le navi del pirata Samuel Bellamy.
Ventottenne, dopo appena un anno di carriera bucaniera che lo aveva visto abbordare una cinquantina di velieri, il Principe dei pirati veniva tragicamente risucchiato dal fondale marino.
Per Black Sam, la Wydah Gally era stata molto più di una conquista: era un punto di arrivo definitivo, una nuova possibilità di vita. Il nostro, secondo le cronache, si diede alla filibusta essenzialmente per amore: aveva una ragazza da sposare e necessitava di denaro. Semplice semplice.
La Wydah era un galeone spagnolo che seguiva la rotta degli schiavi e che aveva giusto caricato un ingentissimo quantitativo di oro e preziosi. Bellamy, insieme alla sua ciurma (composta perlopiù di schiavi liberati) otteneva così, inaspettatamente, l'occasione di smettere anzitempo con la pirateria e di ritirarsi a vita privata.
Il destino non gli fu amico, come ben sappiamo.
Ma l'immaginario comune ha scolpito, dentro di sé, un bel ritratto del Pirata gentile, anche a causa della sua disgrazia. Pare infatti che Bellamy non facesse mai più male del necessario alle sue vittime e che, anzi, talvolta gli equipaggi abbordati fossero felici di unirsi a lui.
Aveva l'abitudine di fare un "giro di prova" sulle imbarcazioni catturate e, qualora non le ritenesse migliori della sua, consentiva ai proprietari (depredati sì, ma incolumi) di proseguire lungo la propria rotta. In caso contrario effettuava uno scambio, tra la nave conquistata e la sua.
La cosa, a livello ideale, mi fa impazzire: la Wydah era una nave di schiavisti. Gli schiavi l'hanno catturata, vedendo in essa il miraggio di una vita che gli era stata negata. Di un nuovo inizio.
Con questa prospettiva dunque, di nuovi inizi e sogni finora negati, si è aperto da ieri il nuovo progetto poetico Wydah Gally. Significa, banalmente, che abbiamo il titolo per il prossimo libricino di poesie che regalerò in giro. Che abbiamo un contenitore per tutto ciò che ha seguito le ultime Roses in the rain, da settembre 2013 a oggi... e seguire.
Amici grafici avvisati, mezzi salvati.
mercoledì 22 aprile 2015
Poesie sparse... 49 - Le palpebre che calano sul mondo
Questa purtroppo ha un anno. Dolorosamente.
Mamma richiude gli occhi - è un po' più stanca
e nulla la farà più stare bene.
I giorni si assomigliano - sfumati
tutti i contorni non c'è un dopo o un prima
ma soprattutto adesso non c'è un dopo.
Mamma ha richiuso gli occhi e io ho paura
che questa volta possa non riaprirli.
Si perderà i nipoti la mia laurea
l'esito dei concorsi la pensione
il mutuo meritato infine estinto.
Non li aprirà mai più sul Nicaragua
o sulle chiavi che papà si scorda.
Non rivedrà le luci di Natale
o il sole che si suda a ferragosto.
Non piangerà alla prossima parata
né per il primo fiore a primavera.
Mamma riapre gli occhi e un lumicino
già punta sfilacciato al suo domani.
Mamma sospiro affranto mi perdona
e mi ringrazia e mi si raccomanda
di non tornare tardi. Mamma lotta
sconfitta il tempo a battiti roventi
sotto una pelle gialla che era sua.
Per ora è solo sonno - ora mi volto
verso l'abisso e sono pure mie
mentre mi aggrappo matto a ogni momento
le palpebre che calano sul mondo.
Mamma richiude gli occhi - è un po' più stanca
e nulla la farà più stare bene.
I giorni si assomigliano - sfumati
tutti i contorni non c'è un dopo o un prima
ma soprattutto adesso non c'è un dopo.
Mamma ha richiuso gli occhi e io ho paura
che questa volta possa non riaprirli.
Si perderà i nipoti la mia laurea
l'esito dei concorsi la pensione
il mutuo meritato infine estinto.
Non li aprirà mai più sul Nicaragua
o sulle chiavi che papà si scorda.
Non rivedrà le luci di Natale
o il sole che si suda a ferragosto.
Non piangerà alla prossima parata
né per il primo fiore a primavera.
Mamma riapre gli occhi e un lumicino
già punta sfilacciato al suo domani.
Mamma sospiro affranto mi perdona
e mi ringrazia e mi si raccomanda
di non tornare tardi. Mamma lotta
sconfitta il tempo a battiti roventi
sotto una pelle gialla che era sua.
Per ora è solo sonno - ora mi volto
verso l'abisso e sono pure mie
mentre mi aggrappo matto a ogni momento
le palpebre che calano sul mondo.
giovedì 16 aprile 2015
Mandorlato alla Garcia Marquez - racconto dialogato
A un anno dalla scomparsa di Gabo, il caso ha voluto che mi trovassi a scribacchiare questo raccontino. Centonistico ovviamente, come gli altri della serie cui appartiene.
Non ho la pretesa di credere, né di far credere ad alcuno, che abbia saputo rendere un po' di onore all'anima o all'intelligenza di Garcia Marquez, uomo o scrittore che si voglia.
In realtà non c'è nemmeno bisogno di tutto ciò. Perché questo qui, quello che appare, il vecchio che è passato da queste parti, è il mio Garcia Marquez. Gabriel Garcia Marquez come io, personalmente, l'ho conosciuto e reinventato dalle pagine di lui che ho avuto modo di leggere. Quindi parla a me. E di me, in una certa misura. E se qualcuno non è d'accordo, può benissimo starsene in silenzio e cambiare pagina.
Perché, a voler vedere, nemmeno si chiama Garcia Marquez, questo personaggio qua...
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Non ho la pretesa di credere, né di far credere ad alcuno, che abbia saputo rendere un po' di onore all'anima o all'intelligenza di Garcia Marquez, uomo o scrittore che si voglia.
In realtà non c'è nemmeno bisogno di tutto ciò. Perché questo qui, quello che appare, il vecchio che è passato da queste parti, è il mio Garcia Marquez. Gabriel Garcia Marquez come io, personalmente, l'ho conosciuto e reinventato dalle pagine di lui che ho avuto modo di leggere. Quindi parla a me. E di me, in una certa misura. E se qualcuno non è d'accordo, può benissimo starsene in silenzio e cambiare pagina.
Perché, a voler vedere, nemmeno si chiama Garcia Marquez, questo personaggio qua...
17.IV.2015
h 01.21 a.m.
Un bravo scrittore si riconosce da quanto butta nel cestino della
carta.
giovedì 9 aprile 2015
Poesie sparse... 48 - L'ultimo Boy Scout
Resta la dignità, pronta all'esilio:
Il mondo è un po' più giungla e chi comanda
sono serpenti iene e alligatori.
Leoni sonnacchiosi, tutto intorno
ci si è fatto il deserto e nella sabbia
stiamo col muso all'ombra di chi fummo.
Non corrono gli gnu né le gazzelle
Non è rimasto un osso od un miraggio
a stimolare imprese. C'è la fame:
il solo bieco istinto deteriore.
La mia savana brucia, in ogni sterpo
la verità è sottesa solo al fuoco.
Tra le macerie sono un re di braci.
Nella sconfitta resto un re che tace.
Roba vecchia, in realtà.
Il titolo (e solo il titolo) è un omaggio al mitologico Bruce Willis e al ruolo che ha interpretato nel 1991.
Da quella pellicola si può, semplicemente, trattenere il facile concetto di:
Boy Scout = Persona Onesta.
Ogni altro riferimento, al Movimento Scout, o alla figura del Boy Scout, o a scouts realmente esistenti, è molto al di là di quelle che sono le reali intenzioni dell'autore.
[Precisazione necessaria per contingenze biografiche]
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sabato 21 marzo 2015
Poesie sparse... 47 - Drowning
Un pensierino proveniente dal tardo autunno e poi sviluppato in pieno inverno per il primo giorno di primavera. Aspettando l'estate che ci ritroverà.
Tra i faggi e le fagacee nel tuo verde
si è definito un alito, vagito
d'amore appena giunto, all'improvviso.
Lo scopro solo e tu mi scheggi il cielo
di luce e d'altre nuvole a infusione.
E questo giovedì si fa ragazza
ragazza e nuvoloso - a suggerire
il vento da non farti più dormire.
Vale come mio contributo alla Giornata Mondiale della Poesia, visto che il pay-with-poem al bar non ha funzionato.
Tra i faggi e le fagacee nel tuo verde
si è definito un alito, vagito
d'amore appena giunto, all'improvviso.
Lo scopro solo e tu mi scheggi il cielo
di luce e d'altre nuvole a infusione.
E questo giovedì si fa ragazza
ragazza e nuvoloso - a suggerire
il vento da non farti più dormire.
Vale come mio contributo alla Giornata Mondiale della Poesia, visto che il pay-with-poem al bar non ha funzionato.
giovedì 12 marzo 2015
lunedì 23 febbraio 2015
Caffettino con De Andrè - racconto breve
Questo racconto è dedicato a Bea, meravigliosa ragazza degli anni '70 che, regalandomi tanti anni fa La buona novella e Non al denaro, non all'amore, né al cielo, mi ha fatto conoscere Fabrizio. Ed Edgar Lee Masters, cui pure devo tantissimo se mi sono sbloccato come scrittore.
Ma lo stesso sorriso, lo stesso colore, dove sono sul viso di chi ha avuto l'amore?
A Bea e a Jones il suonatore, dunque, voi che uscite all'amore che cedete all'aprile... Ovunque siate.
"A un tratto l'amore scoppierà dappertutto"
Ma lo stesso sorriso, lo stesso colore, dove sono sul viso di chi ha avuto l'amore?
A Bea e a Jones il suonatore, dunque, voi che uscite all'amore che cedete all'aprile... Ovunque siate.
"A un tratto l'amore scoppierà dappertutto"
martedì 3 febbraio 2015
Monografie dallo schermo #21 Severus Piton from Harry Potter
Ho il naso adunco, lunghi capelli neri impiastricciati e le movenze di un sinistro pipistrello. A questo potete aggiungere che mi vesto sempre con lunghi completi scuri da stregone e che sul mio braccio sinistro pulsa ancora, tatuato, il lugubre simbolo dei Mangiamorte.
La mia vita è stata una menzogna, ma una menzogna senza dubbio più onorevole e più audace di millemila altre verità. Silente, che è l'unico a conoscere i fatti per intero, mi reputa un uomo coraggioso e probabilmente sono il più coraggioso tra tutti gli appartenenti all'Ordine della Fenice. Perché c'è un coraggio che trascende ogni cosa e che non consiste nel rischiare ogni giorno la propria pelle, né nel fare il doppiogioco al cospetto del più potente mago oscuro legilimens di tutti i tempi, e neppure nel fidarsi ciecamente di qualcuno senza conoscere la vera natura dei suoi stessi disegni.
No: il mio coraggio è stato nel nascondere a tutti la parte migliore di me è nell'aver continuato ad amare, anche dopo morta, sempre la stessa donna, al punto di dedicarmi alla costante, dissimulata, protezione del suo unico, sopravvissuto, figlio.
Perché Harry Potter è il figlio della donna che ancora amo, sì, ma pure dell'uomo che più ho odiato.
Alan Rickman performing
Severus Piton;
Harry Potter (2001 - 2011)
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giovedì 22 gennaio 2015
Quattro chiacchiere con Hemingway - racconto breve
Ok, so già perfettamente che saranno al massimo due i coraggiosi che arriveranno fino in fondo a questa lettura... Credo ne valga la pena, a ogni modo. Sicuramente a me è servito tantissimo averla scritta, questa roba. E, per quanto sia ovviamente un po' un centone, avendo io acquisito da un poco di tempo la desolante abitudine di domandarmi "come l'avrebbe scritto Hemingway" quando ho dei dubbi grossi, mi sembra pure comprensibile che mi sia arrogato il diritto di chiacchierarci qualche ora, con il vecchio Papa Ernest. Subendo i suoi improperi di rito...
- QUATTRO CHIACCHIERE CON HEMINGWAY -
"... Perché un uomo può essere distrutto, ma non sconfitto"
Quattro chiacchiere con Hemingway, racconto/dialogo sulla letteratura, le capacità creative, il ruolo di chi scrive http://t.co/6QUO5NZ5Vx
— saintlamb (@saintlamb26) 27 Gennaio 2015
lunedì 5 gennaio 2015
La scomparsa di Pino Daniele per un Napoletano all'Estero
E finisco per essere una voce in mezzo a mille, troppe, altre; troppo più seriose, troppo più importanti. Ma se è difficile per un napoletano di Napoli spiegare cosa sia stato per lui Pino Daniele, l'impresa si complica ulteriormente per chi, come me, è nato e cresciuto decisamente altrove, ma l'appartenenza silenziosa a quella città "da vedere e poi morire" l'ha sempre avvertita fin troppo chiaramente.
Perché io sono nato e cresciuto a Roma, ma a Napoli ho trascorso davvero del tempo, specie durante la mia infanzia.
Perché Napoli sono i miei nonni, Gennaro e Anna, e il ricordo più nitido e dolce che ho di lei: sporta al balcone di casa, intenta a contrattare con il fruttivendolo il prezzo delle fragole, cestino di vimini e rotolo di spago tra le mani, con diecimila lire e un attaches a stimolare la fantasia di un bambinetto che a breve vedrà quel foglio di cartamoneta scendere lentamente dal suddetto balcone per restituirgli un cestino finalmente pieno di piccoli frutti rossi e porosi.
Perché Napoli è stato per me un insieme di mattinate fradicie di sole, di odore di cimiteri da Caserta a seguire, di gare infinite con il mio fratellino a chi contava più persone in motorino senza casco (si andava sull'ordine delle seicento per arrivare a un record di mille in un solo giorno; probabilmente sempre le stesse ma poco importa).
Perché Napoli è un dialogo tra le ultime tre statue dei suoi Re in Piazza Plebiscito, perché è stata, da che ne ho memoria, sempre almeno un film di Totò trasmesso da microscopiche emittenti locali ai tempi del via cavo.
Perché Napoli smette di essere 'o Paise almeno già da Salerno, il che significa che almeno già da Salerno il Napoletano Dichiarato viene trattato come il peggior italiano della macchietta all'estero. Tanto per intenderci, come un italiano in terra di Francia. O, comunque, come percepisce di essere trattato un qualsiasi Italiano Medio Dichiarato in Terra di Francia.
Un bambino che sa di essere, seppure a metà Napoletano, lo dice in giro, in qualche modo ne è fiero, anche se della sua "lingua natia" capisce poco e niente. Questo bambino, se vive a Roma, imparerà presto a fare l'orecchio con taluni motivetti, nemmeno tanto vagamente razzisti, spesso abbastanza volgari, e non capirà a fondo il motivo di tanto astio verso quella che è la sua seconda casa.
"O colerosi terremotati, voi col sapone non vi siete mai lavati"... " 'O Vesuvio lavali col fuoco"... "Senti che puzza scappano li cani, stanno arrivando li napoletani"... E via a seguire, in un ammasso informe di becerume ottusoide, diffuso e noto lungo tutta la Penisola, paradossale leitmotiv unificante tutte le regioni del regno, nelle loro rappresentazioni di bassa cultura più riuscite.
Pino Daniele era quella voce che cantava in un falsetto incredibile Dubbi non ho. Era l'invenzione del blues sposato alla tradizione della sua terra. Era, soprattutto, la scoperta sorpresa che il napoletano somiglia incredibilmente all'inglese, come fonologia, e che perciò si presta incredibilmente bene a sostituirlo musicalmente, a integrarvisi, ad accoglierlo, dimostrando una maturità sconcertante nella dichiarazione di poetica "I Say 'i sto acca' ".
Non esiste Napoletano che non si sia commosso ascoltando Napule è, la più meravigliosa e completa canzone mai scritta su Napoli. Per i Napoletani all'Estero (ossia, fuori da Napoli) quella voce e quel mandolino hanno sempre avuto la funzione di un balsamo per il cuore.
Non ne esisterà più un altro come lui, umile, capace di riunire personalità diverse, talvolta egocentriche, comunque difficili, all'interno di una unica voce, di un' unica condivisa frase musicale. Pino Daniele è stato il Mozart dei Napoletani, l'espressione serena eppure disincantata, più sincera possibile, di una Napoli luogo reale e perciò luogo dell'anima.
Pino ci ha resi, qualora ce ne fosse bisogno, un po' più orgogliosi di essere Napoletani. Nel bel mezzo di tanta sconcertante banalità melodica, a livello nazionale come regionale, lui ha saputo essere sempre originale e nuovo, schietto come pochi, da buon Napoletano. E non c'è, a questo punto, bisogno di aggiungere altro.
Riposa in pace, purtroppo non troppo vecchio bluesman.
Ma ricorda di insegnare l'arte del mandolino ai cherubini e regala, da lassù, qualche nota di speranza a Napoli e ai Napoletani nel Mondo. Sei tu ad avercelo detto, d'altronde, tanto tempo fa...
"Ma che ve site mise 'n capa?, 'n paradiso s' adda fatica'..."
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